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mercoledì 29 aprile 2015

Dall’Agenzia delle Entrate, le FAQ su oneri deducibili, redditi di lavoro dipendente ed imposte indirette

Nella Circolare n.17/E del 24 aprile 2015, l’Agenzia delle Entrate ha  fornito le risposte chiarificatrici alle domande poste dagli utenti in relazione ad alcune questioni interpretative riguardanti gli oneri detraibili (in particolare per spese sanitarie, spese per interventi di recupero del patrimonio abitativo, spese di istruzione), gli oneri deducibili, i redditi di lavoro dipendente e le imposte indirette.

SPESE SANITARIE

Detraibilità spese massofisioterapista
Domanda -  Si chiede se le prestazioni effettuate in regime libero professionale da un massofisioterapista con formazione triennale (diploma conseguito entro il 17 marzo 1999) siano detraibili anche in assenza di prescrizione medica.
Risposta -  L’Agenzia delle entrate, con risoluzione 17 ottobre 2012, n. 96/E, sentito il Ministero della salute, ha precisato che il diploma di massofisioterapista con formazione triennale, conseguito entro il 17 marzo 1999, è equipollente al titolo universitario abilitante all’esercizio della professione sanitaria di fisioterapista, ai fini dell’esercizio professionale e della formazione post-base; pertanto, i possessori di tale titolo rientrano tra gli esercenti le professioni sanitarie elencate nel decreto ministeriale 29 marzo 2001 che beneficiano del regime di esenzione IVA ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. c), del DM 17 maggio 2002.
Riguardo alla detrazione ai fini dell’IRPEF, la scrivente, sempre tenendo conto di precisazioni fornite dal Ministero della salute, con circolare 1° giugno 2012, n. 19/E, ha chiarito che le spese sostenute per le prestazioni rese dal fisioterapista, al pari delle altre figure professionali sanitarie elencate nel DM 29 marzo 2001, sono ammesse alla detrazione d’imposta di cui all’articolo 15, comma 1, lettera c), del TUIR, anche senza una specifica prescrizione medica.
In base ai chiarimenti sopra forniti, considerata l’equipollenza del diploma di massofisioterapista con formazione triennale, conseguito entro il 17 marzo 1999, al titolo universitario abilitante all’esercizio della professione sanitaria di fisioterapista, la scrivente ritiene che le prestazioni rese dai massofisioterapisti in possesso del suddetto diploma possano essere ammesse in detrazione dall’IRPEF ai sensi dell’articolo 15, comma 1, lettera c), del TUIR anche senza una specifica prescrizione medica.
Ai fini della detrazione, nel documento di certificazione del corrispettivo il massofisioterapista dovrà attestare il possesso del diploma di massofisioterapista con formazione triennale conseguito entro il 17 marzo 1999, nonché descrivere la prestazione resa.

Detraibilità spese per odontoiatra
Domanda -  Vista la Risoluzione ministeriale n. 111/E del 1995, in cui si precisa che l’indicazione sulla fattura emessa dal medico odontoiatra con la dizione "ciclo di cure medico odontoiatriche specialistiche" non soddisfa quanto richiede l'articolo 21 del DPR 633/72 in tema di descrizione dell'operazione realizzata, si domanda se quanto sopra comporti conseguenze anche in merito alla detraibilità IRPEF di dette spese da parte del contribuente. Nel caso, si chiede quali siano gli strumenti a disposizione del contribuente che consentano di far modificare un documento emesso da un terzo (odontoiatra).
Risposta -  L'art. 15, comma 1, lettera c), del TUIR stabilisce che dall'imposta lorda è possibile detrarre un importo pari al 19 per cento delle spese sanitarie, per la parte che eccede euro 129,11, costituite esclusivamente dalle spese mediche e di assistenza specifica, diverse da quelle indicate nell'articolo 10, comma 1, lettera b), e dalle spese chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere.
Per beneficiare della detrazione occorre essere in possesso della documentazione che qualifichi la spesa sostenuta, in modo che possa essere ricondotta a quelle previste dalla disposizione richiamata. In particolare, fermo restando il rispetto degli obblighi stabiliti dall’art 21 del DPR n. 633 del 1972 a fini IVA in ordine al contenuto della fattura, si ritiene che, per non penalizzare il contribuente in buona fede, sia sufficiente al fine del riconoscimento della detrazione in esame che dalla descrizione nella fattura della prestazione resa si evinca in modo univoco la natura “sanitaria” della prestazione stessa, così da escludere quelle meramente estetiche o, comunque, di carattere non sanitario. Nel caso prospettato si ritiene che l’indicazione riportata nella fattura di “ciclo di cure mediche odontoiatriche specialistiche” consenta, al ricorrere degli altri requisiti, di fruire della detrazione di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 15 del TUIR. Qualora la descrizione della prestazione non soddisfi tale requisito, il contribuente dovrà necessariamente rivolgersi al professionista che ha emesso la fattura chiedendo l’integrazione della stessa.

Detraibilità spese per crioconservazione
Domanda -  Le spese relative alla crioconservazione degli ovociti effettuata nell’ambito di un percorso di procreazione medicalmente assistita possono rientrare tra le spese sanitarie detraibili?
Risposta -  L’art. 15, comma 1, lett. c), del TUIR elenca le spese sanitarie per le quali spetta una detrazione dall’IRPEF. In particolare, la norma stabilisce che dall’imposta lorda è possibile detrarre un importo pari al 19 per cento delle spese sanitarie, per la parte che eccede euro 129,11, costituite esclusivamente dalle spese mediche e di assistenza specifica, diverse da quelle indicate nell’articolo 10, comma 1, lettera b), e dalle spese chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere.
In merito all’individuazione delle spese sanitarie detraibili, occorre fare riferimento, come più volte ribadito, ai provvedimenti del Ministero della Salute che contengono l’elenco delle specialità farmaceutiche, delle protesi e delle prestazioni specialistiche (si veda, in tal senso, la circolare 6 febbraio1997, n.25).
Per quanto riguarda la crioconservazione degli ovociti, la disciplina di riferimento è recata dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, istituita al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana.
In merito alla possibilità di ricondurre nell’ambito dell’art. 15, comma 1, lett. c), del TUIR le spese sostenute per la crioconservazione degli ovociti, il Ministero della Salute, interpellato sul punto, ha precisato che la prestazione di crioconservazione degli ovociti effettuata nell’ambito di un percorso di procreazione medicalmente assistita ha finalità sia di cura che di prevenzione per la tutela della salute della donna.
Il Ministero della Salute ha precisato, altresì, che ad oggi la crioconservazione permette di preservare la fertilità di un individuo, maschio o femmina, in tutti quei casi in cui vi è un rischio importante di perderla: patologie tumorali, chemioterapia e radioterapia, patologie autoimmuni, urologiche e ginecologiche. Nello specifico, la crioconservazione degli ovociti può essere effettuata anche al di fuori della procreazione medicalmente assistita per altri scopi, quali, ad esempio, quelli strettamente conservativi, diretti a garantire la disponibilità di ovociti per una futura gravidanza. Il trattamento di crioconservazione degli ovociti deve essere effettuato solo nelle strutture autorizzate per la procreazione medicalmente assistita, iscritte nell’apposito registro nazionale istituito presso l’Istituto superiore di sanità.
Sulla base del parere fornito dal Ministero della Salute, si ritiene che le spese per prestazioni di crioconservazione di ovociti rientrino tra le spese sanitarie detraibili ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. c), del TUIR.
Per poter fruire della detrazione è necessario che dalla fattura del centro presso cui è eseguita la prestazione sanitaria, rientrante fra quelli autorizzati per la procreazione medicalmente assistita, risulti la descrizione della prestazione stessa.

Detraibilità spese per trasporto di disabili
Domanda -  Si chiede se i contributi che vengono volontariamente erogati a ONLUS per il trasporto dei disabili che necessitano di cure mediche periodiche siano detraibili ai sensi dell’art. 15 del TUIR (rigo E3 del 730 o P3 di Unico).
Risposta -  La risposta al quesito non può prescindere dall’esame caso per caso della documentazione attestante la natura del rapporto tra il disabile e la ONLUS. Ciò in quanto le somme erogate dal disabile potrebbero costituire erogazioni liberali alla ONLUS, indipendenti dal servizio di trasporto, ovvero costituire un corrispettivo, anche a forfait, per il proprio trasporto.
Nel primo caso le erogazioni liberali in questione potrebbero rientrare nella previsione di cui all’art. 15, comma 1.1., del TUIR, che prevede una detrazione dall’imposta lorda pari al 26 per cento a decorrere dall’anno 2014 per le erogazioni liberali in denaro, per un importo non superiore a 2.065 euro annui (elevato a 30.000 euro a decorrere dal 2015), a favore delle ONLUS aventi i requisiti di cui al d.lgs. n. 460 del 1997.
Le erogazioni liberali potrebbero, altresì, essere ricomprese tra gli oneri deducibili per effetto dell’art. 14 del d.l. n. 35 del 2005, entro il limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato e, comunque, entro il limite massimo di 70.000 euro annui. In tal caso, per espressa previsione del comma 6 del citato art. 14, non è cumulabile la deduzione in esame con “ogni altra agevolazione fiscale prevista a titolo di deduzione e di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge” (cfr. circ. n. 39/E del 2005).
Si ricorda che la detraibilità è subordinata all’effettuazione dell’erogazione mediante bonifico bancario o postale, ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall’art. 23 del d.lgs. n. 241 del 1997 e dall’attestazione rilasciata dalla ONLUS (cfr. da ultimo circ. n. 11/2014).
Nel caso in cui il versamento sia effettuato alla ONLUS quale corrispettivo di un servizio di trasporto di disabili, riconducibile all’art. 15, comma, 1 lett. c), del TUIR come nel caso di trasporto in ambulanza, la spesa sarà detraibile per l’intero importo quale spesa sanitaria, fermo restando che la ONLUS deve rilasciare regolare fattura.

SPESE DI ISTRUZIONE

Istituti tecnici superiori – Spese di istruzione
Domanda -  Si chiede se sia possibile detrarre e in che misura le tasse pagate da un contribuente per l'iscrizione agli Istituti Tecnici Superiori istituiti sulla base del decreto che determina la riorganizzazione del Sistema di istruzione (D.P.C.M. del 25/01/2008). Il decreto specifica che gli ITS non rappresentano né il 6/7 anno della scuola secondaria superiore, né un ulteriore corso universitario, ma si collocano all'interno di un nuovo settore, non esistente in Italia quale quello del sistema "terziario post-secondario". Le competenze acquisite sono riferibili al livello 5 del quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF).
Risposta -  Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha precisato che i percorsi realizzati dagli Istituti Tecnici Superiori (I.T.S.) rientrano nel segmento dell’istruzione superiore non universitaria. Gli I.T.S., secondo le disposizioni del DI 7 febbraio 2013, allegato A, punto 4, lettera a), sono “istituti di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica, la cui offerta si configura in percorsi ordinamentali. Essi costituiscono il segmento di formazione terziaria non universitaria che risponde alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione.
Accedono ai percorsi, previa selezione, i giovani in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore (DPCM 25 gennaio 2008, art. 7, comma 3).
Al termine del percorso formativo viene rilasciato il Diploma di Tecnico Superiore con l’indicazione dell’Area tecnologica e della figura nazionale di riferimento, unitamente alla certificazione delle competenze (DI 7 settembre 2011, art. 5) corrispondenti al V° livello del Quadro Europeo delle qualifiche – EQF (DI 7 febbraio 2013, all. A punto 4, lett. A).
Per quanto precisato, il MIUR fa presente che i percorsi formativi realizzati dagli ITS presentano, ad oggi, una fisionomia autonoma e distinta dai corsi di istruzione secondaria e universitaria.
Ciò premesso, l’art. 15 del TUIR prevede al comma 1, lett. e), la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 19 per cento delle “spese per frequenza di corsi di istruzione secondaria e universitaria, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degli istituti statali.”. Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo la detrazione spetta anche se l’onere è sostenuto nell’interesse dei familiari fiscalmente a carico.
Sebbene gli I.T.S. abbiano una propria fisionomia autonoma e distinta rispetto ai corsi di istruzione secondaria e universitaria, gli stessi si collocano – per le caratteristiche evidenziate dal MIUR – nell’ambito del segmento di istruzione superiore del sistema italiano di istruzione e formazione.
Considerato che la lettera e) del comma 1 dell’art. 15 del TUIR agevola le spese per frequenza di corsi che coprono il percorso formativo dello studente nella fase dell’“istruzione secondaria” (IV livello formativo) e in quella “universitaria”(dal VI all’VIII livello), si ritiene che le spese sostenute per la frequenza degli Istituti Tecnici Superiori (V livello formativo), così come definiti dal MIUR, che si collocano in un livello intermedio tra l’istruzione secondaria e universitaria, possano essere anch’esse ricondotte nell’ambito delle spese di istruzione previste dalla lett. e) del comma 1 dell’art. 15 del TUIR, beneficiando della relativa detrazione.
Per la determinazione dell’importo ammissibile alla detrazione, si richiama quanto previsto nell’allegato A, punto 5, del decreto interministeriale 7 febbraio 2013, in cui è previsto che “Le Regioni stabiliscono i criteri per la determinazione dell’importo delle rette di frequenza per gli studenti da parte delle Fondazioni I.T.S.. Gli studenti degli I.T.S. versano la tassa regionale per il diritto allo studio sulla base del medesimo importo previsto per gli studenti universitari ed accedono ai medesimi benefici.”.

Istituti tecnici superiori – Canoni di locazione
Domanda -  Si chiede se sia possibile fruire della detrazione prevista per i contratti di locazione stipulati da studenti iscritti ad un corso di laurea presso una università, anche per gli studenti iscritti a corsi presso gli Istituti Tecnici Superiori.
Risposta -  La lett. i-sexies) del comma 1 dell’art. 15 del TUIR, introdotta dal comma 319 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, consente la detrazione per “i canoni di locazione derivanti dai contratti di locazione stipulati o rinnovati ai sensi della L. 9 dicembre 1998 n. 431, e successive modificazioni, i canoni relativi ai contratti di ospitalità, nonché agli atti di assegnazione in godimento o locazione, stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative, dagli studenti iscritti ad un corso di laurea presso una università ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da quest’ultimo almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa, per unità immobiliari situate nello stesso comune in cui ha sede l’università o in comuni limitrofi, per un importo non superiore a 2633 euro.”.
Diversamente dalla detrazione prevista dalla lett. e), la detrazione connessa al pagamento del canone di locazione prevista dalla lett. i –sexies), comma 1, dell’art. 15 del TUIR, riguarda esclusivamente gli studenti “iscritti ad un corso di laurea presso una università ubicata in un comune diverso” da quello di residenza.
Stante il tenore letterale della disposizione in esame, non essendo possibile equiparare i corsi seguiti presso gli ITS a corsi di laurea universitari per quanto evidenziato nel parere del MIUR richiamato nel precedente par. 2.3, si ritiene che la frequenza di tali corsi non consenta di fruire della detrazione per canoni di locazione di cui alla lett. i-sexies) del comma 1 dell’art. 15 del TUIR.

RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO

Ordinante del bonifico diverso dal beneficiario
Domanda -  Per fruire dell’agevolazione sulla ristrutturazione edilizia è previsto, fra l’altro, che il pagamento debba essere effettuato con bonifico bancario o postale dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita Iva ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è stato effettuato. Si chiede di conoscere se, in presenza di tutte le altre condizioni previste dalla norma, sia possibile fruire dell’agevolazione nel caso in cui l’ordinante del bonifico sia un soggetto diverso dal beneficiario della detrazione qualora il codice fiscale di quest’ultimo risulti correttamente indicato nella disposizione di pagamento.
Risposta -  L’art. 16-bis, comma 1, del TUIR consente la detrazione delle spese documentate, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi di recupero del patrimonio edilizio. Il successivo comma 9 prevede l’applicazione delle disposizioni di cui al decreto interministeriale n. 41 del 1998, con cui è stato adottato il regolamento recante norme di attuazione e procedure di controllo di cui all’art. 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in materia di detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia.
L’art. 1, comma 3, del citato regolamento prevede che “Il pagamento delle spese detraibili è disposto mediante bonifico bancario dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.”.
Ciò premesso, si ritiene che nell’ipotesi in cui l’ordinante sia un soggetto diverso dal soggetto indicato nel bonifico quale beneficiario della detrazione, la detrazione deve essere fruita da quest’ultimo, nel rispetto degli altri presupposti previsti dalle disposizioni richiamate, ritenendosi in tal modo soddisfatto il requisito richiesto dalla norma circa la titolarità del sostenimento della spesa.

Limite di spesa e autonomia degli interventi edilizi
Domanda -  un contribuente ha iniziato nel 2008 un intervento di recupero del patrimonio edilizio, sulla base di un apposito provvedimento autorizzativo. L’intervento è proseguito nel corso degli anni ed è stato terminato nel 2013. Per questo intervento il contribuente ha beneficiato della detrazione per le spese sostenute nel limite complessivo di 96.000 euro. Il medesimo contribuente nel 2014, sulla base di un altro titolo autorizzativo, distinto e autonomo dal primo, ha iniziato altri interventi di recupero del patrimonio edilizio, diversi da quelli previsti nel primo provvedimento autorizzativo, che termineranno nel 2015. Si chiede di conoscere se per questi lavori spetti la detrazione sulla base di un ulteriore plafond di euro 96.000, distinto da quello precedentemente utilizzato per i lavori dal 2008 al 2013.
Risposta -  Le spese relative agli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 16-bis del TUIR fruiscono di una detrazione di imposta ai fini IRPEF, attualmente prevista nella misura del 50 per cento delle spese sostenute fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a euro 96.000 per ciascuna unità immobiliare. Tali maggiori limiti si applicano, in base al comma 47 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2015.
In base al comma 1 dell’art. 16-bis, il limite di spesa ammissibile previsto per i suddetti interventi è annuale e riguarda il singolo immobile interessato dagli interventi medesimi (cfr. circ. n. 9/E del 2002, punti 7.3 e 7.4, circ. n. 15/E del 2003, par. 2).
In caso di interventi che consistano nella mera prosecuzione di interventi iniziati in anni precedenti, il comma 4 del medesimo articolo prevede che “ai fini del computo del limite massimo delle spese ammesse a fruire della detrazione si tiene conto anche delle spese sostenute negli stessi anni”. Questo ulteriore vincolo non si applica agli interventi autonomi, ossia non di mera prosecuzione, fermo restando che per gli interventi autonomi effettuati nel medesimo anno deve essere rispettato il limite annuale di spesa ammissibile.
L’autonoma configurabilità dell’intervento è subordinata ad elementi riscontrabili in via di fatto oltre che, ove richiesto, all’espletamento degli adempimenti amministrativi relativi all’attività edilizia, quali la denuncia di inizio attività ed il collaudo dell’opera o la dichiarazione di fine lavori. L’intervento per essere considerato autonomamente detraibile, rispetto a quelli eseguiti in anni precedenti sulla medesima unità immobiliare, deve essere anche autonomamente certificato dalla documentazione richiesta dalla normativa vigente.
Ciò premesso, si rileva che l’art. 16-bis del TUIR non prevede che debba trascorrere un periodo di tempo minimo tra i diversi interventi di recupero del patrimonio edilizio per poter beneficiare nuovamente della detrazione, nel rispetto dei limiti in precedenza indicati.
Quindi, se su un immobile già oggetto di interventi di recupero edilizio negli anni precedenti, sia effettuata una nuova ristrutturazione che non consista nella mera prosecuzione degli interventi già realizzati, il contribuente potrà avvalersi della detrazione nei limiti in vigore al momento dei bonifici di pagamento.
Quindi, nella fattispecie in esame, nel presupposto che l’intervento iniziato nel 2014 sia autonomo da quello riguardante i lavori effettuati dal 2008 al 2013, il contribuente potrà fruire di un nuovo e autonomo limite di spesa di 96.000 euro, distinto da quello previsto per gli interventi effettuati negli anni 2008-2013. Nel 2015, naturalmente, il limite di spesa dovrà tenere conto, trattandosi di prosecuzione di interventi iniziati nell’anno precedente, delle spese sostenute nell’anno 2014.

Trasferimento mortis causa e rate residue della detrazione
Domanda -  L’art. 16-bis del TUIR dispone che in caso di trasferimento mortis causa della titolarità dell’immobile sul quale sono stati realizzati interventi di recupero edilizio negli anni precedenti, la detrazione non fruita in tutto in parte è trasferita, per i rimanenti periodi d’imposta, esclusivamente all’erede o agli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile. Nel caso in cui, dopo alcuni anni dal trasferimento mortis causa, l’erede che aveva la detenzione materiale e diretta dell’immobile conceda in locazione o in comodato l’immobile, perde la detrazione delle restanti quote? In altri termini, è sufficiente che la detenzione materiale e diretta si sia verificata all’atto dell’accettazione dell’eredità oppure la condizione deve essere sussistere in ciascun anno per il quale si vuole fruire della detrazione pro-quota?
Risposta -  Con circolare n. 24/E del 2004 è stato chiarito che la “detenzione materiale e diretta del bene”, alla quale è subordinata la possibilità di continuare a fruire della detrazione da parte dell’erede, sussiste qualora l'erede assegnatario abbia la immediata disponibilità del bene, potendo disporre di esso liberamente e a proprio piacimento quando lo desideri, a prescindere dalla circostanza che abbia adibito l'immobile ad abitazione principale. Con circolare 20/E del 2011, al par. 2.2, è stato ulteriormente specificato che l’erede, concedendo in comodato l’immobile, non può più disporne in modo diretto e immediato e, pertanto, non potrà continuare a beneficiare della detrazione per le spese di ristrutturazione sostenute dal de cuius.
Coerentemente, si ritiene che la condizione della “detenzione materiale e diretta del bene” debba essere sussistere non solo per l’anno dell’accettazione dell’eredità, ma anche per ciascun anno per il quale il contribuente intenda fruire delle residue rate di detrazione. Nel caso in cui l’erede, che deteneva direttamente l’immobile, abbia successivamente concesso in comodato o in locazione l’immobile stesso, non potrà fruire delle rate di detrazione di competenza degli anni in cui l’immobile non è detenuto direttamente. Tuttavia, potrà beneficiare delle eventuali rate residue di competenza degli anni successivi al termine del contratto di locazione o di comodato, riprendendo la detenzione materiale e diretta del bene. 

ALTRE QUESTIONI

Somme corrisposte al coniuge separato per le spese di alloggio
Domanda -  Si chiede di chiarire se l’eventuale contributo per le spese di alloggio erogato dall’ex coniuge a seguito di sentenza di separazione possa essere dedotto dal reddito complessivo dell’erogante, anche se pagato in sostituzione dell’assegno di mantenimento. Se nell’atto di separazione o divorzio non viene quantificato tale “contributo-casa”, si chiede quale deve essere la documentazione attestante il “valore” dell’alloggio.
Risposta - L’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR considera deducibili dal reddito complessivo “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria;”. Detti assegni costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. i), del TUIR e si presumono percepiti, salvo prova contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli, secondo quanto stabilito dall’art. 52, comma 1, lett. c), del TUIR.
In merito alle somme che sono disposte dal giudice a favore del coniuge separato o divorziato, l’Agenzia ha più volte chiarito che la deducibilità prevista dal citato art. 10 del TUIR è limitata a quelle espressamente previste a titolo di assegno periodico di mantenimento del coniuge, con esclusione delle altre somme corrisposte una tantum o in luogo di detto assegno.
Con la recente sentenza n. 13029 del 2013, la Cassazione civile ha ammesso la deducibilità delle “spese afferenti all’immobile di abitazione della moglie e del figlio” che il contribuente era tenuto a fronteggiare in base a provvedimento dell’autorità giudiziaria emesso in sede di separazione legale. In tale sentenza è stabilito che “le spese per assicurare al coniuge la disponibilità di un alloggio costituiscono un contributo per il di lui mantenimento, ai sensi dell’art. 156 c.c.. In quanto la disponibilità di un’abitazione costituisce elemento essenziale per la vita di un soggetto.”
La Cassazione, nel ritenere sussistenti i presupposti per la deducibilità dal reddito complessivo delle spese per assicurare al coniuge la disponibilità di un alloggio a titolo di assegno di mantenimento, in base all’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR, ha altresì evidenziato che nel caso esaminato tale contributo per la casa è “periodico, e corrisposto al coniuge stesso; inoltre è determinato dal giudice, sia pur ‘per relationem’ a quanto risulta da elementi certi e conoscibili.”.
Ciò premesso, si ritiene che gli importi stabiliti a titolo di spese per il canone di locazione e spese condominiali, qualora siano disposti dal giudice, quantificabili e corrisposti periodicamente all’ex-coniuge, abbiano i requisiti previsti dalla citata sentenza della Cassazione n. 13029 del 2013 per essere considerati alla stregua dell’assegno di mantenimento e, quindi, siano deducibili dal reddito complessivo del coniuge erogante ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR. Nel caso in cui dette somme riguardino l’immobile a disposizione della moglie e dei figli, la deducibilità è limitata alla metà delle spese sostenute (cfr. art. 3 del DPR n. 42 del 1988).
Per quel che attiene la quantificazione del “contributo casa”, si ritiene che l’importo del contributo, se non stabilito direttamente dal provvedimento dell’autorità giudiziaria, possa essere determinato ‘per relationem’, qualora il provvedimento preveda, ad esempio, l’obbligo di pagamento dell’importo relativo al canone di affitto o delle spese ordinarie condominiali relative all’immobile a disposizione dell’ex coniuge. In tal caso, la documentazione attestante il sostenimento dell’onere potrà essere costituita, oltre che dal provvedimento dell’autorità giudiziaria, anche dal contratto d’affitto o dalla documentazione da cui risulti l’importo delle spese condominiali, nonché dalla documentazione comprovante l’avvenuto versamento.
Si evidenzia, inoltre, che la deduzione di tali somme ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR da parte del coniuge erogante, comporta necessariamente la tassazione del corrispondente importo in capo all’altro coniuge separato, ai sensi del citato art. 50, comma 1, lett. i), del TUIR.
Infine, considerato che nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione dei redditi (modelli 730/2015 e UNICO PF/2015) non sono date specifiche indicazioni in merito, si fa presente che per l’anno d’imposta 2014:
- l’ex coniuge che corrisponde il “contributo casa dovrà indicare tale onere deducibile nel rigo E22 del modello 730/2015 o nel rigo RP22 del modello UNICO PF/2015, unitamente agli assegni periodici corrisposti all’ex coniuge;
- l’ex coniuge che percepisce il “contributo casa” dovrà indicare tale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente nella colonna 2 dei righi C6, C7, e C8 del modello 730/2015 o nella colonna 2 dei righi RC7 e RC8 del modello UNICO PF/2015, barrando in entrambi i modelli la casella di colonna 1, unitamente agli assegni periodici percepiti all’ex coniuge.

Spese per adozione internazionale
Domanda -  La lettera l-bis) del comma 1 dell’articolo 10 del TUIR stabilisce la deducibilità del "cinquanta per cento delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione disciplinata dalle disposizioni contenute nel Capo I del Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184".
Alla luce di quanto sopra si chiede:
1. se la deduzione del 50% della spesa spetti ad uno dei due genitori o necessariamente debba essere divisa al 25% per ognuno;
2. in caso di coniuge a carico, se mediante annotazione sul documento che certifica le spese possano essere variate le percentuali di spettanza in base all'effettivo sostenimento.
Risposta -  L’articolo 10, comma 1, lett. l-bis), del TUIR prevede la deducibilità dal reddito complessivo del 50 per cento delle spese sostenute dai genitori adottivi per l’espletamento della procedura di adozione di cui al Capo I del Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184 (cfr. la circolare n. 55 del 2001, paragrafi 1.6.1 e 1.6.2, e risoluzioni n. 55 del 2000 e n. 77 del 2004, cui si rinvia per gli approfondimenti). La deduzione è prevista per agevolare coloro che decidono di adottare un minore straniero e che, pertanto, vengono ad essere sottoposti all'osservanza di tutti gli obblighi che la procedura di cui al Capo I del Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184 impone.
Ciò premesso, si ritiene che il legislatore non abbia inteso ripartire la deduzione per gli oneri sostenuti per la procedura di adozione nella misura fissa del 25 per cento per ogni coniuge, ma piuttosto abbia inteso ammettere in deduzione dal reddito di uno o di entrambi i coniugi complessivamente il 50 per cento delle spese sostenute.
Pertanto, poiché è principio generale che gli oneri individuati dall'art. 10 del TUIR sono deducibili dal reddito imputabile al contribuente che ha sostenuto le spese, si ritiene che la deduzione del 50 per cento, di cui all'art. 10, comma 1, lett. l-bis) del TUIR, debba essere proporzionalmente suddivisa tra i due genitori, in relazione alle spese sostenute, se la spesa è stata sostenuta da entrambi.
Nel caso in cui, invece, la spesa sia stata sostenuta da un solo genitore, in quanto l'altro coniuge è a suo carico, la deduzione spetta esclusivamente al coniuge che ha sopportato la spesa, nella misura del 50 per cento.
Si ricorda, tuttavia, che, come già chiarito con la citata risoluzione n. 77 del 2004, per fruire della deduzione in argomento, è necessario che le spese sostenute siano certificate dall'ente autorizzato, cui è stato conferito il mandato per l'espletamento della procedura. Per motivi di semplificazione legati alle obiettive difficoltà di individuare il coniuge che ha concretamente sostenuto, anche all’estero, le spese nelle procedure in esame, i coniugi potranno specificare all’ente autorizzato, nella dichiarazione da rendere in base alla risoluzione n. 77 del 2004, anche quale sia l’importo delle spese sostenute da ciascuno di essi. Si ritiene in tal modo soddisfatto anche il requisito richiesto dalla disposizione in esame circa la titolarità del sostenimento della spesa.
Pertanto, se l'ente autorizzato a cui si sono rivolti i coniugi, ha certificato sulla base delle dichiarazioni da loro rese, che le spese di adozione sono state sostenute da entrambi in pari misura, ciascuno potrà dedurre solo il 25 per cento delle spese sostenute.
Diversamente, se l'ente autorizzato, sulla base delle dichiarazioni rese dai coniugi, ha attestato che le spese certificate sono state sostenute in misura differenziata dai due coniugi, ciascuno potrà dedurre la quota parte che gli è stata certificata.
Per le spese sostenute nell’anno 2014, i coniugi potranno rendere tale dichiarazione anche in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi, apponendola sull’originale della certificazione rilasciata dall’ente, a condizione che la stessa non contraddica dichiarazioni sostitutive di atto notorio già rese all’ente.

Erogazioni liberali a favore delle ONLUS
Domanda -  Si chiede conferma del fatto che la scelta operata dal contribuente in merito alla detrazione o alla deduzione (ove consentito) delle erogazioni liberali sia univoca e debba riguardare tutte le donazioni effettuate nell'anno d'imposta, anche in relazione a beneficiari diversi, oppure possa essere modulata a discrezione del contribuente (es. Onlus Alfa detraggo, Onlus Beta deduco).
Risposta -  Le agevolazioni fiscali riconosciute al soggetto persona fisica per erogazioni liberali effettuate in favore di ONLUS sono attualmente previste da tre norme:
1) l’art. 10 del TUIR, il quale prevede alla lett. g) del comma 1) una deduzione - non superiore al 2 per cento del reddito complessivo dichiarato - dei “contributi … donazioni e … oblazioni” erogati in favore delle Organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della l. n. 49 del 1987 (ONG). Si evidenzia che - per effetto della nuova disciplina recata dalla legge n. 125 del 2014 (Norme generali sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo) - le ONG “idonee” alla data del 29 agosto 2014 (data di entrata in vigore della legge citata), mantengono la qualifica di ONLUS se abbiano presentato richiesta di iscrizione all’Anagrafe unica delle ONLUS. Tali organizzazioni costituiscono, nell’ambito dell’Anagrafe unica delle ONLUS, una particolare categoria ad esaurimento e conservano le agevolazioni fiscali previste per le ONLUS (cfr. risoluzione n. 22/E del 2015);
2) l’art. 15, comma 1.1, del TUIR, che nella formulazione applicabile al 2014 prevede una detrazione dall’imposta lorda pari al 26 per cento per le erogazioni liberali in denaro, per un importo non superiore a euro 2.065 annui (l’importo è elevato a euro 30.000 anni dal 2015, a seguito della modifica operata dall’art. 1, comma 137, della legge n. 190 del 2014).
3) l’art. 14 del d.l. n. 35 del 2005, che prevede una deduzione delle erogazioni liberali in denaro o in natura effettuate, tra gli altri, in favore delle ONLUS, entro il limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato e, comunque, entro il limite massimo di 70.000 euro annui.
Per espressa previsione dell’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 460 del 1997, “la deducibilità dal reddito imponibile…prevista dall’articolo 10, comma 1, lett. g) del TUIR è consentita a condizione che per le medesime erogazioni il soggetto erogante non usufruisca delle detrazioni d’imposta” di cui (attualmente) all’articolo 15, comma 1.1., del TUIR.
L’art. 14 del d.l. n. 35 del 2005 prevede a sua volta al comma 6 il divieto di cumulo della deduzione contemplata dalla norma con “ogni altra agevolazione fiscale prevista a titolo di deduzione o di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge”.
Con circolare n. 39/E del 2005, emanata a seguito dell’entrata in vigore di tale ultima misura agevolativa, l’Agenzia ha precisato che “la non cumulabilità prescinde dall’importo delle liberalità erogate. Ove, ad esempio, il contribuente eroghi (anche a più beneficiari) liberalità per un valore superiore al limite massimo consentito di 70.000 euro, non potrà avvalersi, in relazione alla parte eccedente tale limite, del beneficio della deduzione o detrazione, neppure ai sensi di altre disposizioni di legge”.
Al riguardo si ritiene che, qualora il contribuente intenda avvalersi – nel rispetto delle condizioni di legge previste – della deduzione di cui all’art. 14 del d.l. n. 35 del 2005, il medesimo contribuente non potrà fruire, sia per le medesime erogazioni che per erogazioni distinte, effettuate anche a diversi beneficiari, né della deduzione di cui all’articolo 10, comma 1, lett. g), del TUIR, né della detrazione di cui all’articolo 15, comma 1.1., del medesimo testo unico.
Diversamente, il contribuente che non intenda avvalersi della deduzione prevista dall’art. 14 del d.l. n. 35 del 2005 e che abbia effettuato distinte erogazioni liberali, anche a favore del medesimo beneficiario, potrà scegliere di fruire della deduzione prevista dall’art. 10, comma 1, lett. g), del TUIR o della detrazione prevista dall’art. 15, comma 1.1., del TUIR, essendo precluso il ricorso ad entrambe le agevolazioni fiscali per la medesima erogazione.

Detrazioni per altri familiari a carico
Domanda -  Si rappresenta il caso di un soggetto che fa parte di un nucleo familiare composto da padre, madre e due figli, dove il padre e uno dei figli sono disoccupati e la madre, lavorando solo nel periodo estivo, ha un reddito annuo di circa 3.500 euro lordi. Si chiede di sapere se l’unico figlio che lavora stabilmente e che può provvedere al mantenimento della famiglia, possa avvalersi delle detrazioni IRPEF per altri familiari a carico per il fratello e il padre.
Risposta -  L'articolo 12 del TUIR, disciplinante le detrazioni d'imposta spettanti per carichi di famiglia, ha una struttura che stabilisce l’ordine da seguire per la fruizione della detrazione per familiari a carico. In altri termini, in presenza di un familiare di cui all’art. 433 del c.c., da considerare “a carico” in quanto possessore di un reddito complessivo non superiore a euro 2.840,51, la detrazione spetta al contribuente per il quale tale familiare “a carico” sia, nell’ordine, coniuge (lett. a, b), figlio (lett. c), altro familiare convivente o per il quale è versato un assegno alimentare non risultante da provvedimenti dell’autorità giudiziaria (lett. d).
Quindi, nel caso prospettato in cui nel nucleo familiare (composto da due genitori e due figli) solo la madre e un figlio hanno redditi superiori alla soglia di euro 2.840,51, mentre il padre e l’altro figlio sono “a carico”, secondo la struttura dell’art. 12 del TUIR, questi ultimi per la madre rientrano nelle lettere a) e b) (coniuge) e c) (figli), mentre per il figlio nella lettera d) (altri familiari).
Ne consegue che la madre ha il diritto di fruire delle detrazioni per il coniuge e per i figli, con precedenza rispetto al figlio, per il quale gli stessi rientrano tra gli altri familiari. Le detrazioni spetterebbero al figlio nell’ipotesi in cui la madre avesse un reddito complessivo non superiore a euro 2.840,51, e quindi fosse anch’essa da considerare altro familiare a carico del figlio (cfr. risoluzione n. 461/E del 2008).
L’ordine delineato nell’art. 12, tuttavia, potrebbe non rappresentare la reale contribuzione al sostegno dei componenti del nucleo familiare, non solo nell’ipotesi in cui i soggetti che precedono siano “a carico”, ma anche nel caso in cui, pur non essendo a carico, detti soggetti abbiano redditi particolarmente bassi tali da far gravare il sostegno del nucleo stesso sugli altri familiari.
Con la finalità di non voler sfavorire detti nuclei familiari, anch’essi fondati sui medesimi vincoli di solidarietà familiare, si ritiene che le detrazioni in esame possano essere fruite dai contribuenti per i quali i familiari “a carico” rientrino fra gli “altri familiari” (comunque conviventi o per i quali siano versati assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria) di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 12 del TUIR, a condizione che detti contribuenti posseggano un reddito complessivo più elevato di quello posseduto dai soggetti per i quali i familiari a carico rientrerebbero nelle lett. a), b) e c), e che detti contribuenti ne sostengano effettivamente il carico.
Rimane fermo che le detrazioni devono essere fruite nel rispetto dei presupposti previsti dalla lett d) del comma 1 dell’art. 12 del TUIR.
Al riguardo si ricorda che la citata lett. d) prevede la possibilità di detrarre dall’imposta lorda “750 euro, da ripartire pro quota tra coloro che hanno diritto alla detrazione, per ogni altra persona indicata nell’art. 433 del codice civile che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo e 80.000 euro.”.

Detraibilità interessi di mutuo e trasferimento all’estero
Domanda -  È stato rappresentato il caso di un contribuente che ha acquistato un immobile da destinare a propria abitazione, ha contratto un mutuo per l’acquisto dell’abitazione stessa e ha trasferito nei termini previsti dalla legge la propria residenza in tale immobile. Successivamente, il contribuente si è trasferito all’estero per motivi di lavoro, ha trasferito la propria residenza in tale stato estero e si è iscritto all’A.I.R.E. Il predetto immobile, non potendo più essere utilizzato come abitazione principale, è stato concesso in locazione a terzi.
Si chiede di sapere se il contribuente, residente all’estero per motivi di lavoro, possa detrarre gli interessi passivi pagati in dipendenza del mutuo.
Risposta -  Per i soggetti che, in base all’art. 2 del TUIR, risultano fiscalmente non residenti nel territorio dello Stato, l’imposta è determinata e applicata secondo le disposizioni degli artt. 23 e 24 del medesimo TUIR.
L’art. 24 del TUIR, in particolare, prevede al comma 3, tra gli oneri che possono essere portati in detrazione da detti soggetti non residenti, anche quelli previsti dall’art. 15, comma 1, lett. b), del predetto TUIR, concernente la detrazione per interessi passivi relativi al mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale.
Al fine della fruizione di tale detrazione occorre, preliminarmente, verificare se ricorrano le condizioni previste dal richiamato art. 15, comma 1, lett. b), del TUIR. La disposizione in esame consente di detrarre dall’imposta lorda un importo pari al 19 per cento degli interessi passivi e relativi oneri accessori pagati in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto stesso, per un importo non superiore a 4.000 euro. Per “abitazione principale”, ai sensi della medesima lett. b), si intende “quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente”. Per l’individuazione dei familiari richiamati dalla disposizione in questione occorre far riferimento al comma 5 dell’art. 5 del TUIR, secondo cui, ai fini IRPEF, sono considerati familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.
Inoltre, la citata lett. b) prevede che “La detrazione spetta, non oltre il periodo di imposta nel corso del quale è variata la dimora abituale; non si tiene conto delle variazioni dipendenti da trasferimenti per motivi di lavoro.”.
In base all’art. 15 del TUIR in commento, quindi, costituisce presupposto per la spettanza della detrazione che l’unità immobiliare sia effettivamente adibita ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto. Tale detrazione spetta anche oltre il periodo d’imposta in cui sia variata la dimora abituale, a condizione che detta variazione dipenda da motivi di lavoro.
Al riguardo, con Circolare n. 15/E del 2005, al punto 4.5, l’Amministrazione Finanziaria ha precisato che “In caso di trasferimento per motivi di lavoro, la detrazione degli interessi passivi per l'acquisto dell'abitazione principale spetta anche se l'immobile viene concesso in locazione”.
Successivamente, con Circolare n. 21/E del 2010, al punto 4.5 è stato specificato, tra l’altro, che “Il diritto a fruire della detrazione per gli interessi passivi permane anche nel caso in cui il contribuente trasferisca la propria residenza in un comune limitrofo a quello in cui si trova la sede di lavoro. La generica formulazione adottata dalla norma “trasferimenti per motivi di lavoro” consente, infatti, di continuare a fruire della detrazione nei casi in cui la variazione dell’abitazione principale risulti oggettivamente attribuibile all’attuale situazione lavorativa del contribuente senza richiedere l’ulteriore condizione che la nuova abitazione principale sia stabilita nel medesimo comune in cui si trova la sede di lavoro. Il principio che consente la detrazione degli interessi passivi solo in relazione ad immobili adibiti ad abitazione principale può essere derogato fintantoché sussistono i presupposti previsti per avvalersi della deroga, vale a dire finché permangono i motivi di lavoro che hanno determinato la variazione della dimora abituale. Se, pertanto, vengono meno le esigenze lavorative che hanno determinato lo spostamento della dimora abituale non troverà più applicazione la citata deroga, con la conseguenza che, a partire dal periodo di imposta successivo a quello in cui sono venute meno le predette esigenze lavorative, il contribuente perderà il diritto alla detrazione degli interessi.”.
Si ritiene che la circostanza che il contribuente abbia un rapporto di lavoro in uno stato estero consenta di applicare la deroga richiamata e, quindi, che lo stesso abbia diritto a detrarre gli interessi passivi relativi al mutuo per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, anche se la suddetta abitazione risulti locata.
Tutto ciò nel presupposto che:
-          siano state rispettate tutte le condizioni previste dall’art. 15, comma 1, lett. b), del TUIR ai fini della fruizione della detrazione degli interessi passivi di mutuo, con particolare riferimento al trasferimento della dimora abituale in tale immobile entro un anno dall’acquisto;
-         che a tutt’oggi permangano le esigenze lavorative che hanno determinato lo spostamento della dimora abituale;
-         che il contribuente non abbia acquistato un immobile da adibire ad abitazione principale nello Stato estero di residenza.
Si fa presente, per completezza, che le circostanze evidenziate non consentono al contribuente di poter fruire della deduzione per l’abitazione principale, in quanto nell’art. 10, comma 3-bis, del TUIR non è prevista una deroga analoga a quella di cui all’art. 15, comma 1, lett. b) in esame.

Detrazione per l’acquisto di mobili e successione
Domanda -  L’art. 16-bis del TUIR dispone che in caso di trasferimento per causa morte della titolarità dell’immobile sul quale sono stati realizzati interventi di recupero edilizio, la detrazione non fruita in tutto in parte dal de cuius è trasferita, per i rimanenti periodi d’imposta, esclusivamente all’erede o agli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile. La stessa regola si applica anche per le spese sostenute dal contribuente deceduto per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici?
Risposta -  L'art. 16, comma 2, del d.l. n. 63 del 2013 prevede che ai contribuenti che fruiscono della detrazione per taluni interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 16-bis del TUIR, è riconosciuta una detrazione nella misura del 50 per cento delle ulteriori spese documentate e sostenute, fino a un ammontare complessivo di 10.000 euro, per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione. La detrazione è ripartita tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo.
Il c.d. bonus mobili, seppure presupponga la fruizione della detrazione per le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio, è comunque una detrazione da questa autonoma, con proprie norme sul limite di spesa e sulla ripartizione in dieci rate della detrazione stessa, che non prevedono il trasferimento della detrazione.
Si ritiene, pertanto, che in caso di decesso del contribuente non possa applicarsi la disposizione di cui al comma 8 dell’art. 16-bis del TUIR e la detrazione in esame, non utilizzata in tutto o in parte, non si trasferisca agli eredi per i rimanenti periodi di imposta.

Reddito di lavoro dipendente svolto all’estero
Domanda -  Si chiede se il reddito di lavoro dipendente, risultante dalla certificazione rilasciata dal datore di lavoro estero, da indicare nel quadro C debba essere al lordo o al netto dei contributi previdenziali obbligatori versati nello stato estero.
Risposta -  Con circolare n. 9/E del 2015 è stato precisato che “…il reddito estero deve essere assunto nell’ammontare determinato secondo le regole interne relative alle varie categorie, con l’unica eccezione dei redditi dei terreni e dei fabbricati situati al di fuori del territorio italiano che, invece, rilevano - ai sensi dell’articolo 70, comma 2, del TUIR - secondo la valutazione effettuata nello Stato estero.”. Pertanto, considerato che l’articolo 51, comma 2, lett. a), del TUIR, in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente, stabilisce, tra l’altro, che “Non concorrono a formare il reddito: … i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge…”.…”, si è dell’avviso che il reddito estero debba essere dichiarato al netto dei contributi previdenziali obbligatori versati nello Stato estero.
Al riguardo, si evidenzia che il Ministero delle finanze con circolare n. 326 del 1997 ha precisato che “tenuto conto che il legislatore ha fissato la disciplina dei contributi distinguendo soltanto i contributi obbligatori versati in ottemperanza a una disposizione di legge da quelli che, invece, tali non sono, si deve ritenere che [ai fini della loro deducibilità] sia irrilevante la circostanza che detti contributi, obbligatori o “facoltativi”, siano versati in Italia, sempreché le somme e i valori cui i contributi si riferiscono siano assoggettate a tassazione in Italia”.

Spese di riparazione degli adattamenti delle autovetture dei disabili
Domanda -  Si chiede di sapere quale sia l’aliquota IVA applicabile alle riparazioni degli adattamenti realizzati sulle autovetture delle persone disabili e ai pezzi di ricambio necessari per dette riparazioni. Inoltre, si chiede di sapere se per le predette spese di riparazione sia possibile fruire della detrazione IRPEF di cui all’art. 15, comma 1, lett. c), del TUIR.
Risposta -  I numeri 31) e 33) della Tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633 del 1972, prevedono l’applicazione dell’aliquota IVA del 4% alle “… prestazioni rese dalle officine per adattare i veicoli, anche non nuovi di fabbrica, compresi i relativi accessori e strumenti necessari per l’adattamento, effettuate nei confronti dei soggetti ….” con ridotte o impedite capacità motorie permanenti, nonché per “parti, pezzi staccati ed accessori esclusivamente destinati ai beni indicati ai precedenti nn. 30), 31) e 32).”.
Da un punto di vista letterale, il n. 31) fa riferimento esclusivamente alle prestazioni rese dalle officine per adattare i veicoli, compresi i relativi accessori e strumenti necessari per l’adattamento e il n. 33) fa riferimento alle parti, ai pezzi staccati ed accessori esclusivamente destinati ai beni indicati, tra l'altro, al n. 31).
Come già in parte chiarito con circolare n. 46/E dell’11 maggio 2001, è possibile rinvenire alla base della normativa l’intenzione del legislatore di riservare un trattamento agevolato ai pezzi, ai ricambi, agli accessori propri delle particolari apparecchiature che sopperiscono al problema del disabile. In ragione di tale “ratio”, si ritiene che anche alla riparazione degli adattamenti realizzati sulle autovetture delle persone disabili e alle cessioni dei ricambi relativi agli adattamenti possa essere applicata l’aliquota agevolata del 4 per cento.
Per quanto concerne la detrazione ai fini IRPEF, l’Agenzia ha avuto modo di chiarire più volte che tra le spese che danno diritto alla detrazione sono comprese, oltre alle spese di acquisto dell’autovettura, anche le spese per le riparazioni che non rientrano nella ordinaria manutenzione (sono esclusi, quindi, dalla detrazione i costi di esercizio, quali, ad esempio, il carburante, i pneumatici, ecc…), purché sostenute entro i quattro anni dall’acquisto del veicolo stesso. Dette spese concorrono, insieme al costo di acquisto del veicolo, al raggiungimento del limite massimo di spesa consentito di 18.075,99 euro e non possono essere rateizzate (cfr. risoluzione n. 306/E del 2002 e circolare n. 15/E del 2005, par. 6.1).

Credito d’imposta riacquisto prima casa
Domanda -  Con la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 18/E del 2013, è stato precisato che il credito di imposta spettante per il riacquisto della ‘prima casa’ può essere utilizzato alternativamente:
- a) in diminuzione dell’imposta di registro dovuta in relazione al nuovo acquisto;
- b) per l’intero importo in diminuzione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito;
- c) in diminuzione dell’IRPEF dovuta in base alla prima dichiarazione successiva al nuovo acquisto ovvero alla dichiarazione da presentare nell’anno in cui è stato effettuato il riacquisto stesso;
- d) in compensazione con altri tributi e contributi dovuti ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, tramite il modello F24.
Nel caso in cui il credito di imposta venga utilizzato solo parzialmente in diminuzione dell’imposta di registro dovuta in relazione all’atto di acquisto che lo determina, si chiede di conoscere se possa essere utilizzata anche la parte residua del credito e secondo quali modalità.
Risposta -  L’articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 stabilisce l’attribuzione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che, entro un anno dalla vendita dell’immobile, acquistato con i benefici ‘prima casa’ provvedano ad acquisire un’altra casa di abitazione, per la quale ricorrono le condizioni di cui alla nota II bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).
Si rammenta che l’importo del credito d'imposta spettante è commisurato all'ammontare dell'imposta di registro o dell'IVA corrisposta in relazione al primo acquisto agevolato e, in ogni caso, non può essere superiore all’imposta di registro o all'IVA corrisposta in relazione al secondo acquisto.
Il credito di imposta spettante può essere utilizzato in diminuzione dall’imposta di registro dovuta per l'atto di acquisto che lo determina, ovvero, può essere utilizzato nei seguenti modi:
a) per l'intero importo, in diminuzione dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito;
b) in diminuzione dalle imposte sui redditi delle persone fisiche dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data del nuovo acquisto;
c) in compensazione delle somme dovute ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
I contribuenti hanno, dunque, la facoltà di scegliere la modalità di utilizzo del credito di imposta loro spettante secondo le modalità sopraindicate.
Con riferimento al quesito posto, si ritiene che nel caso in cui il credito di imposta sia stato utilizzato solo parzialmente per il pagamento dell’imposta di registro dovuta per l’atto in cui il credito stesso è maturato, l’importo residuo potrà essere utilizzato dal contribuente in diminuzione dalle imposte sui redditi delle persone fisiche ovvero in compensazione delle somme dovute ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (lettere b e c).
Detto importo residuo non potrà, invece, essere utilizzato in diminuzione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, e dell’imposta sulle successioni e donazioni per gli atti presentati successivamente alla data di acquisizione del credito. La previsione normativa in argomento stabilisce, infatti, che in relazione alle imposte dovute per tali atti e denunce, il credito deve essere utilizzato per l’intero importo (lettera a).
Tale interpretazione appare coerente con i chiarimenti già resi da questa Agenzia con la circolare n. 19/E del 1° marzo 2001. In tale sede, è stato, infatti chiarito, con riferimento all'ipotesi di cui alla lettera a), che il legislatore con la dizione "intero importo" ha voluto escludere la possibilità di utilizzare il credito parzialmente e, quindi, portarlo in detrazione dalle imposte dovute su più atti o denunce di successione, presentati all'ufficio competente per la registrazione dopo la data di acquisizione del credito.
Esempio
Immobile acquistato il 30 dicembre 2012 di valore pari ad euro 150.000 e rivenduto in data 10 gennaio 2015
Imposta di registro corrisposta in sede di acquisto pari ad euro 4.500 (150.000 * 3% - aliquota ‘prima casa’ vigente fino al 31 dicembre 2013 )
Altro immobile acquistato il 31 marzo 2015 di valore pari ad euro 160.000
Imposta di registro dovuta pari ad euro 3.200 (160.000*2% - aliquota ‘prima casa’ vigente dal 1° gennaio 2014).
Da tale importo deve essere scomputato, ai sensi della nota all’articolo 10, della Tariffa, Parte I, allegata al TUR, l’imposta di registro, pari ad euro 1.800, versata in sede di registrazione del contratto preliminare in relazione agli acconti prezzo (acconti pari ad euro 60.000 * 3% - Nota all’articolo 10 della Tariffa parte prima allegata al TUR = 1.800).
Imposta di registro dovuta per la registrazione del contratto definitivo pari ad euro 1.400
Credito d’imposta spettante (minore importo tra euro 4.500 ed euro 3.200) euro 3.200
Credito di imposta utilizzato in diminuzione dall’imposta di registro dovuta sull’atto di acquisto agevolato che lo determina euro 1.400
La parte residua del credito, pari ad euro 1.800 può essere utilizzata in diminuzione dalle imposte sui redditi delle persone fisiche dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data di acquisto del nuovo immobile ovvero in compensazione delle somme dovute, ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Tale importo non può, invece, essere utilizzato in diminuzione dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito.
In ogni caso, il credito di imposta non dà luogo a rimborsi per espressa disposizione normativa.