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sabato 31 maggio 2014

Part-time verticale e retribuzione durante l’assenza per infortunio

In risposta ai numerosi  quesiti sollevati dalle aziende, nelle “istruzioni operative” del 5 maggio 2014, l’Inail ha precisato che, in base al principio di non discriminazione, l’anticipazione sull’indennità per inabilità temporanea assoluta da parte del datore non deve essere sospesa durante il periodo di pausa contrattuale afferente al part-time ciclico.

Nella nota, l’Istituto ha ribadito che, in base al suddetto principio, il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile.

La retribuzione utile ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di lavoratori a tempo parziale, pertanto, risulta uguale a quella tabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno.

Poiché  la retribuzione part-time da valere ai fini assicurativi è fissata dalla legge in maniera convenzionale,  in assenza di una disposizione normativa o regolamentare che disciplini il tempo parziale verticale ciclico in maniera difforme rispetto alle altre tipologie di part-time, tale retribuzione deve essere presa in considerazione anche per il part-time verticale ciclico.

In caso di infortunio sul lavoro, quindi,  il meccanismo di calcolo della retribuzione media giornaliera, percepita nei periodi di effettiva prestazione d’opera, deve essere applicato anche ai periodi  in cui tale prestazione non viene svolta per  tutti i tipi di part-time, ivi compreso quello verticale ciclico.

Ciò considerato, con riferimento specifico al periodo di pausa contrattuale afferente a questa tipologia contrattuale, il datore di lavoro non può rifiutarsi di fare anticipazioni sull’indennità per inabilità temporanea assoluta quando ne sia richiesto dall’Istituto assicuratore, con la conseguenza che tale anticipazione non deve essere sospesa nemmeno durante il periodo di pausa contrattuale afferente al part-time ciclico.

Valerio Pollastrini

Escluso dalla riforma il Pubblico Impiego

Con la conversione del D.L. n.34/2014 nella Legge n.78/2014, i contratti a tempo determinato potranno essere legittimamente stipulati  in assenza di una specifica causale e, nel limite di durata dei complessivi 36 mesi, le aziende potranno prorogare il singolo rapporto a termine per 5 volte, senza alcun obbligo di pause, purché la protrazione  si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era  stato originariamente stipulato.

In proposito, si ricordi che, per espressa dizione del legislatore, la nuova disciplina del contratto a tempo determinato, per il momento, non trova applicazione nel Pubblico Impiego.

Valerio Pollastrini

I valori di Aspi e Mini-Aspi per i soci lavoratori delle cooperative

Il Ministero del Lavoro, con Decreto del 18 febbraio 2014, pubblicato in  Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 maggio, ha stabilito le misure percentuali degli importi di ASPI e mini ASPI da liquidare ai soci lavoratori delle cooperative per gli anni dal 2014 al 2017, in relazione all’aliquota effettiva di contribuzione.

Questi i valori delle suddette indennità di disoccupazione  per i soci di cooperativa:

-         2014: 40 %;
-         2015: 60 %;
-         2016: 80 %;
-         2017: 100 %;

Valerio Pollastrini

Nessuna sanzione se nello studio non c’è il pos

In applicazione di quanto disposto dal D.L. n.179/2012  gli studi professionali devono consentire  ai clienti privati la possibilità di pagare con il bancomat le fatture di importo superiore a 30,00 €.

Tuttavia, la Circolare n.12/2014 della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, richiamando l’interpretazione resa dal Consiglio Nazionale Forense (1), ha chiarito che la mancata installazione del Pos non produce un inadempimento sanzionabile.

Nel caso in cui il professionista fosse sprovvisto dell’apparecchiatura per il pagamento elettronico si avrà la fattispecie della mora del creditore (2).

L’Ordine dei  Consulenti ha criticato fortemente  il provvedimento in commento che, oltre ad introdurre un inutile adempimento aggiuntivo a carico dei professionisti, con incremento dei costi per la gestione degli studi, apporterebbe  benefici solo a favore degli istituti di credito.

Valerio Pollastrini

(1)   - Consiglio Nazionale Forense, Circolare n.20 del 20 maggio 2014;
(2)   - di cui all’articolo 1206 del codice civile;

Licenziamento del lavoratore tossicodipendente

Nella sentenza  n.11715 del 6 febbraio–26 maggio 2014, la Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla legittimità del licenziamento irrogato ad un autista, addetto al trasporto dei rifiuti, in seguito alla sua condanna  penale   per detenzione e consumo di sostanze stupefacenti.

A proposito della vicenda in commento, la Suprema Corte ha sottolineato che alla base del recesso vi sarebbe l’impossibile utilizzazione del dipendente tossicodipendente e, sconfessando la sentenza di appello, ha chiarito come spetti al lavoratore l’onere di dimostrare l'insussistenza della situazione di non conoscenza o conoscibilità da parte dell'azienda della sua condizione di consumatore di droga.

In sostanza, la Corte di Appello di Roma, alla quale la Cassazione ha rinviato la causa, dovrà decidere, in diversa composizione,  se, ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il lavoratore abbia fornito piena prova, attraverso la produzione dell'esito degli esami tossicologici del caso, del proprio avvenuto pieno recupero, con la conseguente dismissione dell'abitudine al consumo di sostanze stupefacenti, che impedisce la guida di veicoli su strada (1) ed espone il datore di lavoro al rischio di essere chiamato a rispondere di eventuali danni cagionati a terzi.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - ex art.187 del codice della strada;

Le regole generali per i riposi si applicano anche al personale di vigilanza

Nella sentenza n.11581 del 23 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha affermato che la disciplina che sancisce, in generale, il diritto dei dipendenti ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, coincidente generalmente con la domenica, aggiuntivo delle  previste 11 ore di riposo giornaliero, deve essere applicata anche ai lavori discontinui, nonché a quelli di vigilanza.

Nel caso di specie, la Corte di Appello, riformando la pronuncia del Tribunale, aveva accolto la domanda con la quale un lavoratore aveva chiesto il risarcimento del danno per il mancato godimento dei riposi settimanali e giornalieri.

La Corte del merito aveva quindi condannato l’azienda al complessivo pagamento, in favore del ricorrente, di 1.563,88 €, dei quali, 1.362,53 € per mancati riposi giornalieri e  201,35 € per mancati riposi settimanali, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, dalle singole scadenze al saldo.

In particolare,  in merito alla determinazione della durata dei riposi giornaliero e settimanale nell’ambito del lavoro discontinuo, quale quello di vigilanza svolto dal dipendente in questione, il giudicante non aveva condiviso l'interpretazione avanzata dalla società sulla derogabilità della normativa generale nelle ipotesi di cambio di squadra. Tale circostanza, infatti, non poteva ritenersi riferita al cambio di turno dell'intera squadra di appartenenza del lavoratore, circostanza verificatasi nella specie.

La Corte, dunque, ha ribadito la validità della disciplina generale che prevede un riposo di undici ore per ogni giorno di lavoro, un riposo settimanale di ventiquattro ore consecutive alla fine del riposo settimanale e un riposo di trentacinque ore complessive, spettante ad ogni cambio di turno, alla fine del turno settimanale, dal passaggio dal terzo al primo turno o dal terzo al secondo.

La soppressione del riposo settimanale, impedendo al lavoratore  di recuperare le proprie energie psico-fisiche e dedicare del tempo ad attività culturali o ricreative, si era pertanto tradotta in un danno, liquidato nella  misura pari al 50% della complessiva retribuzione giornaliera nell'ipotesi di soppressione di undici ore e del 15% nell'ipotesi di soppressione di tre ore.

La Corte del merito aveva escluso ogni valenza alla deduzione dell’azienda relativa alla fruizione, da parte del  lavoratore, di successivi maggiori riposi.

Contro la sentenza del merito, il datore di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione.

Investita della questione, la Suprema Corte ha premesso che, come correttamente osservato dal Giudice del secondo grado,   nel disciplinare il riposo giornaliero e quello settimanale, gli artt. 7 e 9 del D.Lgs. n.66/2003,  che contemplano un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola coincidente con la domenica, da cumulare con le previste undici ore di riposo giornaliero, si riferiscono anche ai lavori discontinui, quali quello di vigilanza.

La Cassazione ha proseguito, ricordando che eventuali  deroghe all'anzidetta disciplina possono essere introdotte solamente  dalla contrattazione collettiva o attraverso specifici accordi nazionali.

In mancanza di siffatta previsione derogatoria devono pertanto valere i principi sopra enunciati.

Per escludere il diritto riconosciuto nella sentenza appella non rileva il richiamo alla fruizione successiva di riposi maggiori, essendo il termine di riferimento quello del giorno e della settimana.

La Suprema Corte ha poi escluso che la fattispecie in commento rientrasse in quella contemplata nel comma 2, lett. a), dell'art.9 del D.Lgs. n.66/2003, che annovera tra le  eccezioni al principio  sancito nel comma 1, le attività di lavoro a turni con riferimento ai casi in cui il lavoratore cambi squadra e non possa usufruire,  tra la fine del servizio di una squadra e l'inizio di quello della squadra successiva, di periodi di riposo giornaliero o settimanale.

Sul punto, interpretando correttamente la norma, la Corte di Appello aveva  ritenuto che  il caso oggetto di giudizio fosse diverso da quello realizzatosi nella fattispecie di cambio di squadra, trattandosi invece di cambio del turno da parte della intera squadra che, come tale, presuppone una programmazione ispirata al rispetto delle regole generali sull'orario di lavoro.

Inoltre, dal momento che  il cambio di turno avveniva ogni sette giorni,  la società era tenuta al rispetto della normativa disciplinante il diritto al periodo di riposo.

Per le richiamate ragione la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso .

Valerio Pollastrini

giovedì 29 maggio 2014

Sicurezza – La formazione deve essere impartita anche al dipendente esperto

Nella sentenza  n.21242 del 26 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’esperienza del dipendente sui macchinari utilizzati  non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di impartire la formazione specifica, né può essere sufficiente ad assolverlo da responsabilità in caso di infortunio.

Nella vicenda in commento, la Corte di Appello, confermando la pronuncia emessa dal Tribunale, aveva condannato  un datore di lavoro per il reato di lesioni colpose gravi, relative al danno causato ad un dipendente che, infortunatosi  mentre operava su un apparecchio aziendale, aveva riportato diverse ferite con amputazioni.

Dall’istruttoria, quale elemento decisivo per la sua colpevolezza, era emerso che l’imputato non aveva adeguatamente formato il dipendente sull'utilizzo dell’attrezzatura di lavoro, sulla funzione del dispositivo di protezione, nonché  sui pericoli connessi all'impiego del macchinario.

Per la Corte del merito, in caso di infortunio,  qualora risulti provato che in azienda non sia stata svolta alcuna azione per sensibilizzare la  problematica della sicurezza, oltre all’assenza di specifiche direttive sull’argomento,  la consapevolezza del lavoratore   della necessità di utilizzare i dispositivi di protezione non  esclude la responsabilità dell’imprenditore.

Contro la decisione del merito, il datore di lavoro aveva ricorso  in Cassazione, sostenendo che la Corte di Appello non avesse chiarito le ragioni che l’avevano indotta a ritenere  provata la mancata sensibilizzazione del dipendente sul tema della sicurezza e che a questi non fosse stata imposta alcuna direttiva nel merito.

Il ricorrente aveva precisato come lo stesso lavoratore avesse  dichiarato di aver utilizzato per molti anni il macchinario e di aver ricevuto  tutti gli strumenti antinfortunistici.

L’imprenditore, in sostanza, aveva lamentato l’ascritta attribuzione della responsabilità penale, senza che, da parte sua,  vi sarebbe stata  una condotta colpevole.

Investita della questione, la Suprema Corte ha sottolineato come il giudicante del merito  avesse preso atto che, dalla testimonianza resa dalla ispettrice Asl, in seguito alle indagini esperite in azienda, risultasse accertato che in azienda non fosse stata svolta alcuna attività formativa  in favore del dipendente, al quale non erano state impartite istruzioni sulle caratteristiche del macchinario e sul funzionamento dei dispositivi di protezione, nonostante l’infortunato avesse affermato di essere consapevole che la rimozione degli  accessori di protezione fosse pericolosa e di aver già utilizzato macchine simili, anche se meno veloci.

Dopo l’analisi dei fatti, la Corte di Appello aveva stimato il valore attribuibile alla conoscenza generica del lavoratore sulle modalità di utilizzo dell'apparecchio e sui connessi rischi, rilevando come tale cognizione non possa surrogare l'attività di formazione che il datore di lavoro è tenuto a somministrare.

Si tratta di un’affermazione che risulta pienamente coerente con la normativa di riferimento.

Investita della questione, la Suprema Corte ha  richiamato  la giurisprudenza di legittimità, in base alla quale il datore di lavoro ha l'obbligo di assicurare ai dipendenti una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento alle postazioni  di lavoro ed alle  mansioni di appartenenza.

La funzione del suddetto adempimento è quella  di render edotti i lavoratori sui rischi connessi alle proprie prestazioni, senza che  tale obbligo possa essere escluso dalla circostanza della destinazione occasionale  a mansioni diverse da quelle abituali.

A ciò si aggiunga che, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, il D.Lgs. n.626/94 (1) poneva  l’informazione, la formazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori, ovvero dei loro rappresentanti,  tra le misure generali di tutela (2), distinguendole, peraltro, dalla diversa ed ulteriore misura generale costituita dalle istruzioni adeguate ai dipendenti (3).

La norma citata, inoltre, elencava e definiva i contenuti degli obblighi di informazione e di formazione, intesi come attività ed obiettivi distinti (4).

Dopo aver riepilogato il quadro legislativo di riferimento, la Cassazione ha chiarito che, in tema di tutela della salute e della sicurezza, l'apprendimento del dipendente, derivante dalle esperienze personali e dalle prassi di lavoro, non vale a surrogare le attività di informazione e di formazione che, necessariamente, devono essere formalizzate in ambito aziendale.

Conseguentemente,  la prova dell'assolvimento degli obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non può ritenersi fornita attraverso la dichiarazione con la quale il dipendente infortunato rilevi una personale pluriennale esperienza sull'uso dell'attrezzatura di cui trattasi.

Da ciò discende  la correttezza della decisione  impugnata ed il  rigetto del ricorso disposto dalla Cassazione.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Applicabile ratione temporis al caso di specie;
(2)   - Art. 3, c.. 1, lett. s), del D.Lgs. n.626/1994;
(3)   - Art. 3, c. 1, lett. t), del D.Lgs. n.626/1994;
(4)   - Artt. 21 e 22 del D.Lgs. n.626/1994;

Il rendimento dei Fondi Pensione

Nell’ambito della Previdenza Complementare, la Covip  si occupa della vigilanza di 8 milioni di iscritti, per un patrimonio complessivo di 177 miliardi, dei quali 116 miliardi per i Fondi Pensione e 61 miliardi per le Casse Professionali.

Nel corso della relazione annuale dell’Authority, tenuta dall’istituto lo scorso 28 maggio, è emersa la marcata convenienza  dei Fondi Pensione rispetto al vecchio trattamento di fine rapporto.

Dal 2000 ad oggi il rendimento cumulato dei Fondi Pensione negoziali è stato pari al 48,7%,  rispetto al 46,1% ottenuto dal trattamento di fine rapporto.

Nel 2013 i Fondi Pensione negoziali hanno reso in media il 5,4%  ed i Fondi Pensione aperti hanno registrato la quota media dell'8,1 %. I Pip, realizzati attraverso i prodotti di ramo III, hanno reso invece il 12,2%, mentre, nello stesso periodo, il Tfr si è rivalutato solo dell'1,7 %.

L'anno scorso sono stati complessivamente raccolti 12,5 miliardi di euro, dei quali,  5,2 miliardi sono giunti dai flussi del Tfr indirizzati  alla previdenza complementare.

Nell’ambito patrimoniale, risultano preponderanti i 330 fondi preesistenti, che totalizzano circa 50 miliardi di euro, pari al  il 40% del totale.

I 39 Fondi Pensione negoziali raggiungono quota 34,5 miliardi, i 59  Fondi Pensione aperti  sono a 12 miliardi e, infine, gli 81 Pip registrano 19,5 miliardi di patrimonio.

Dai dati emerge però un  aumento rilevante dei lavoratori in difficoltà che hanno bloccato i versamenti alla Previdenza Complementare. Al 31 marzo 2014, sono infatti 1,4 milioni gli iscritti ai Fondi Pensione che, principalmente  a causa del protrarsi della crisi economica,  hanno sospeso i pagamenti, mentre a fine 2012 il dato si era fermato a 1,2 milioni.

Valerio Pollastrini

I tempi previsti per l’attuazione della Riforma del lavoro

Lo scorso 27 maggio l’Agenzia Ansa ha diffuso una dichiarazione con la quale il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti  ha  confermato l'intenzione del Governo di accelerare i tempi per l’approvazione del  Disegno di Legge Delega sul lavoro previsto dal c.d. Jobs Act.

L’obiettivo è quello di chiudere l’iter parlamentare entro la fine del 2014, cosa che consentirebbe di mettere a regime le novità nei primi mesi del prossimo anno.

A tal fine si tenterà di esaurire la parte di discussione e l'approvazione del testo di Legge delega a Palazzo Madama entro luglio, circostanza che consentirebbe al provvedimento di giungere alla Camera nel mese di settembre.

Il Ministro ha spiegato che, se nel merito non dovessero sorgere divergenze  interne alla maggioranza ed in Aula, sarà possibile evitare alcuni passaggi parlamentari.

Attualmente, è in corso la predisposizione di tutti gli elementi necessari per la stesura dei decreti attuativi della delega. Si tratta, ha chiarito Poletti, di una fase preparatoria che consentirà al Governo di agire rapidamente appena il Parlamento avrà disposto l’approvazione della Legge Delega.

Valerio Pollastrini

I termini per impugnare la sanzione disciplinare

Nell’ambito dei procedimenti disciplinari, il comma 8 dell’art.7 dello Statuto dei Lavoratori (1) dispone che,  decorsi due anni dalla loro applicazione, il datore di lavoro non possa tenere conto ad alcun effetto delle precedenti sanzioni irrogate al dipendente.  

Nella sentenza n.10668 del 15 maggio 2014, la Cassazione ha chiarito che il termine suddetto non possa ritenersi scaduto qualora, nelle more, il lavoratore avesse impugnato la sanzione attraverso il deposito del ricorso introduttivo del giudizio rivolto ad ottenere la declaratoria dell'illegittimità del provvedimento disciplinare.

I giudici di legittimità hanno ricordato come, in tal caso, permanga l'interesse  del dipendente ad impugnare la sanzione, anche se l'udienza di discussione nel giudizio di impugnazione venga fissata oltre il biennio dall'irrogazione.

La Suprema Corte ha inoltre chiarito che il termine annuale di prescrizione presuntiva (2), previsto per i crediti dei prestatori di lavoro per periodi non superiori ad un mese, risulta applicabile esclusivamente ai crediti relativi  al corrispettivo della prestazione pagato per periodi non superiori ad un mese. Conseguentemente, ne rimangono esclusi dall’ambito di applicazione gli altri crediti, tra i quali quello relativo alla ripetizione di una sanzione pecuniaria inefficace.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Legge n.300 del 20 maggio 1970;
(2)   – di cui all'art. 2955, primo comma, punto 2, cod. civ.;

martedì 27 maggio 2014

Quando il passaggio ad altro datore di lavoro richiede l’assenso del dipendente

Nella sentenza n.10128 del 9 maggio 2014, la  Cassazione ha ricordato che, ad eccezione del trasferimento d’azienda, per la cessione del contratto di lavoro è necessario il consenso del dipendente interessato.

In tutti i rapporti obbligatori, infatti,  il mutamento del debitore potrebbe ledere l'interesse del creditore, pertanto, la Suprema Corte ha ribadito che anche la cessione del contratto di lavoro è inefficace se il dipendente, titolare di crediti verso il cedente, non abbia preventivamente espresso il proprio  consenso.

La fattispecie del trasferimento di azienda, con successione del cessionario negli obblighi del cedente, costituisce, invece, un’eccezione al suddetto principio e quindi non  richiede alcun assenso del lavoratore.

Quale condizione di legittimità, la Corte ha ricordato che il trasferimento di un'azienda, o di un singolo ramo di essa, debba avere ad oggetto un’entità economica organizzata in maniera stabile, nonché utile alla produzione e allo scambio di beni o servizi.

Nel caso in cui il dipendente contesti il suo passaggio ad altro datore di lavoro per l’insussistenza delle richiamate condizioni, potrà rivolgersi al Giudice per l’accertamento dell’eventuale inefficacia della mutazione della titolarità del rapporto, a nulla rilevando la responsabilità solidale tra cedente e cessionario, sancita dall’art.2112 del codice civile, relativa ai soli crediti del lavoratore ceduto esistenti al momento del trasferimento e non anche quelli futuri, in quanto, in tale circostanza, potrebbe configurarsi un pregiudizio a carico del soggetto  ceduto ad altra impresa meno solvibile.

Valerio Pollastrini

I requisiti formali della contestazione disciplinare

Nella sentenza n.10662 del 15 maggio 2014, la  Cassazione ha ribadito che la preventiva contestazione al lavoratore dell’inadempimento, indispensabile per l’irrogazione dell’eventuale sanzione disciplinare, non richiede l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi. Tale atto, infatti, deve solamente consentire al lavoratore  di esercitare al meglio il proprio diritto di difesa.

La Suprema Corte ha inoltre chiarito come  il datore di lavoro possa limitarsi a fornire, nella suddetta comunicazione, le indicazioni necessarie ed essenziali che consentano al dipendente di  individuare  il fatto nel quale sia stata ravvisata l’infrazione disciplinare.

Nel caso in cui la singola procedura  riguardi molteplici eventi, la comunicazione preventiva  non dovrà necessariamente contenere l'indicazione  del giorno e dell'ora in cui le presunte inadempienze siano state commesse. A tal fine, infatti, è  sufficiente che, dal tenore letterale della contestazione, si evincano gli elementi utili per la corretta individuazione delle violazioni imputate al lavoratore.

La Cassazione ha quindi  concluso confermando l’ammissibilità della contestazione c.d. per relationem, quella cioè effettuata  mediante il richiamo ad atti del procedimento penale instaurato a carico del dipendente per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari, nel caso in cui le accuse formulate in tale sede  siano a conoscenza dell'interessato.

Valerio Pollastrini

Le verifiche sui redditi delle società di capitali potranno riguardare anche i conti bancari di soci e amministratori

Nella sentenza n.10486 del 14 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che, nel corso degli accertamenti sui redditi prodotti dalle società di capitali, l’Amministrazione Finanziaria, oltre a quelli intestati all’azienda, può acquisire dagli istituti di credito anche  gli estratti dei conti correnti bancari intestati a soci, amministratori o procuratori generali.

Ciò, secondo quanto affermato nella pronuncia in commento, sarà possibile ogniqualvolta risulti provata, anche attraverso semplice presunzione, la natura fittizia dell'intestazione o  la sostanziale riconducibilità  dei conti medesimi all’impresa.

Dimostrato il collegamento delle posizioni  dei soggetti collegati alla società, sarà l’impresa a dover provare l’estraneità delle operazioni bancarie delle persone fisiche a quelle inerenti alla gestione della propria attività.

Valerio Pollastrini

Pubblico Impiego – Confermato il blocco degli stipendi per il solo 2014

Intervenuta per stemperare la protesta inscenata oggi dal sindacato Uns nel corso del “Forum Pa”, il Ministro Marianna Madia ha chiarito che il blocco delle retribuzioni, previsto fino alla fine del 2014,  non verrà esteso anche agli anni successivi.

Nonostante, al momento,  manchino le risorse per il rinnovo, con la prevista Riforma della Pubblica Amministrazione il Governo conta di reperire le risorse necessarie per sbloccare i contratti.

Il Ministro ha sottolineato  che nei 44 punti indicati per la Riforma, inclusi nella bozza sottoposta a consultazione popolare fino al 30 maggio 2014, non vi siano riferimenti  al taglio degli investimenti e delle risorse.

A proposito dei lavoratori precari dell'Amministrazione Pubblica, Madia ha chiarito che il sistema di mobilità del personale, attualmente al vaglio, consentirà ai dipendenti interessati  di rimanere in servizio entro un limite di distanza  dal luogo di residenza che consentirà l’agevole assolvimento delle attività connesse alla vita privata.

Il Ministro ha quindi concluso ribadendo che, a causa dei preoccupanti livelli raggiunti dal fenomeno della disoccupazione giovanile, i dipendenti pubblici non potranno rimanere in servizio oltre i termini  previsti per il  pensionamento.

Valerio Pollastrini

La crisi di liquidità assolve il datore di lavoro dal reato di omesso versamento delle ritenute dei dipendenti

Negli ultimi cinque mesi, la  Cassazione si è espressa quatto volte in merito al reato di omesso versamento delle ritenute certificate, fornendo indirizzi contrastanti tra loro (1).

Nell’ultima pronuncia,  sentenza n.20777 del 22 maggio 2014, la Suprema Corte ha affermato che il dolo,  elemento necessario per la configurazione del suddetto reato, può essere escluso se l'imputato dimostri  che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse non potessero essere altrimenti fronteggiate con idonee misure, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.

Nel caso di specie, all’amministratore unico di una società era stato contestato il mancato versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta,  delle ritenute del lavoratori risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per l'ammontare superiore a 50.000,00 € (2).

Il Tribunale del merito aveva assolto il datore di lavoro, dichiarando che il fatto ad egli imputato non costituisce reato, in quanto, dall’esame delle prove acquisite, era emerso che l’omissione del versamento delle ritenute non fosse riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole.

Il Procuratore generale presso la Corte di Appello, aveva impugnato tale pronuncia dinnanzi alla Cassazione,  osservando che il Giudice di primo grado avesse erroneamente  ritenuto insussistente l'elemento psicologico del reato, argomentando che la crisi economica dell'impresa avrebbe, di fatto, impedito l'adempimento dell'obbligazione tributaria,  influendo così sull'effettiva intenzione di evadere le imposte, senza, tuttavia, considerare che, nel caso di specie, il dolo fosse generico.

In sostanza, secondo la tesi del ricorrente,   per l'integrazione dell'elemento soggettivo del reato sarebbe  sufficiente la semplice  consapevolezza di omettere i dovuti versamenti, senza che nessun rilievo possa essere attribuito  alla finalità di eludere gli obblighi tributari, né, tantomeno, alle critiche condizioni economiche che abbiano indotto l’azienda ad assolvere altri debiti ritenuti più urgenti.

Investita della questione, la Suprema Corte ha compiuto innanzitutto un riepilogo dei fatti, rilevando come, dall'esame testimoniale del funzionario dell'Agenzia delle Entrate, il Tribunale avesse accertato che la società non aveva provveduto al versamento, nei termini previsti per la presentazione della dichiarazione annuale, delle ritenute alla fonte per un ammontare complessivo di 53.318,00 €.

Tra l’altro, nel momento in cui aveva ricevuto la notifica della relativa cartella esattoriale, l’azienda aveva  già provveduto a  versare 14.000,00 € e l'imputato, in seguito, era stato ammesso alla rateizzazione dei  pagamenti ancora dovuti.

Nel corso del giudizio del merito, il Consulente Tecnico della difesa aveva riferito le critiche condizioni della società, piccola agenzia di pubblicità, che negli anni 2007 - 2008 aveva chiuso gli esercizi con piccole perdite, risultando in sofferenza di liquidità per il ritardo di alcuni clienti nel pagamento delle fatture emesse a loro carico.

Tuttavia, la società aveva ugualmente tentato di onorare tutti i debiti, anche quelli erariali, e, proprio nel primo semestre 2008, aveva anche provveduto a versare le ritenute INPS e IRPEF e ad effettuare i versamenti IVA.

Il Tribunale, inoltre, aveva evidenziato come le ritenute oggetto dell'omesso versamento, riguardassero essenzialmente tre mensilità del 2007,  febbraio e parte  di novembre e  dicembre.  Le ritenute inerenti alle  altre scadenze del 2007, invece,  erano state versate nel rispetto dei termini di legge o, al massimo, con qualche mese di ritardo.

Tale contesto aveva indotto il Giudice del primo grado a ritenere credibile la non volontarietà dell’omissione, anche in considerazione della scarsa entità del superamento della soglia di rilevanza penale.

Dalla deposizione della lavoratrice addetta alla contabilità aziendale, era emerso che, a causa del ritardo nei pagamenti da parte dei clienti, l’imprenditore fosse stato impossibilitato a versare somme ulteriori, in aggiunta a quelle parzialmente liquidate mensilmente per ritenute Irper, Inps e per l’Iva.

La teste aveva inoltre chiarito che, a casa della sua assenza nel mese di luglio, il datore di lavoro, che non si occupava minimamente di contabilità e scadenze e che spesso era via per la ricerca di nuovi contratti, non avrebbe potuto adempiere neanche facendo ricorso alle risorse economiche private.

Tutte queste, in sostanza, le risultanze in base alle quali il Tribunale aveva escluso che l'omissione del versamento nel termine fosse riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dell'imputato.

La Cassazione si poi soffermata sull’analisi del tipo di dolo connotante la fattispecie contestata, chiarendo come non basti definirlo  generico, ma occorra, altresì, considerare che il dolo non possa essere ritenuto in re ipsa e che, per il suo accertamento,nel diritto penale non è possibile ricorrere a presunzioni di dolo.

In sostanza, il dolo, quantunque generico, non può mai essere impoverito con l'elusione dell'onere dell’ accertamento che, in merito all'elemento soggettivo del reato, verte sulla prova di un fatto psichico che deve sempre sempre ricostruito, secondo le circostanze del caso specifico e tenendo conto del contesto nel quale sia stata maturata la condotta omissiva dell'agente.

Per quanto riguarda il reato di omesso versamento di ritenute certificate, la Cassazione ha quindi osservato che il dolo può essere escluso qualora l'imputato dimostri, osservando oneri di allegazione e di prova rigorosi, che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.

Si tratta di un accertamento al quale il Giudice del merito non si era sottratto, fornendone un apprezzamento attraverso una congrua motivazione, insindacabile in sede di legittimità. Conseguentemente, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – La pronuncia in commento è stata preceduta dalla seguenti sentenze: Cass., Sentenza n.20266 del 15 maggio 2014; Cass., Sentenza n.19574 del 13 maggio 2014; Cass., Sentenza n.3707 del 28 gennaio 2014;
(2)   – Fattispecie di reato prevista dall'art. 10-bis del D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000;

Assegni familiari concessi dai Comuni – Discriminatoria la decorrenza 2013

Con ordinanza del 20 maggio 2014, il Tribunale di Milano ha dichiarato la natura  discriminatoria della disposizione contenuta nella Circolare n.4 del 15 gennaio 2014, nella quale l’Inps aveva previsto, per l’annualità 2013, la decorrenza dell’assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli minori concesso dai Comuni solamente dal 1° luglio dello stesso anno.

Il Tribunale, pertanto, ha ordinato all’Istituto Previdenziale di cessare la predetta condotta discriminatoria e di pubblicizzare il provvedimento in commento, attraverso idonea pubblicazione sul proprio sito istituzionale.

L’Inps, pur avendo provveduto a porre in essere   gli adempimenti richiesti, ha annunciato, tuttavia, l’intenzione di impugnare in Appello il provvedimento emesso dal Tribunale milanese,  richiedendone la sospensione.

Valerio Pollastrini

domenica 25 maggio 2014

Incentivati solo i premi di produttività previsti dagli accordi sindacali

La Legge di Stabilità 2013 (1) ha disposto la  proroga  delle misure  sperimentali  per  l'incremento della   produttività  del   lavoro,   introducendo   una   speciale detassazione per le somme erogate a talli fine ai lavoratori  per il periodo dal 1°  gennaio  al  31 dicembre 2014 (2).

Il Dpcm del 19 febbraio 2014 ha stabilito che, per l’anno in corso, la suddetta agevolazione trovi applicazione con esclusivo riferimento al settore privato e  per  i  titolari  di  reddito  da  lavoro  dipendente  non superiore, nell'anno 2013, a 40.000,00 €,  al  lordo  delle  somme assoggettate  all'imposta  sostitutiva  di  cui all'art. 1, comma 1, del Decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri del 22 gennaio 2013.

 
La retribuzione di  produttività  individualmente  riconosciuta che può beneficiare della detassazione   non  può comunque essere complessivamente superiore, nel corso dell'anno 2014, a 3.000,00 € lordi.

Occorre precisare che ad essere agevolate saranno  solamente i premi erogati ai lavoratori in base agli accordi sindacali depositati entro 30 giorni  presso la Direzione Territoriale del Lavoro.

Il deposito degli accordi già sottoscritti al 14 maggio 2014, data di entrata in vigore del Dpcm, dovrà, pertanto, essere effettuato entro  il prossimo 14 giugno.

Valerio Pollastrini


(1)   - comma 481 dell'art.1 della Legge n.228 del 24 dicembre 2012;
(2)   -comma 482 del medesimo art. 1 della Legge n.228/2012;

Il calcolo dell’indennità di buonuscita nel Pubblico Impiego

Nell’ambito del Pubblico Impiego, nella sentenza n.10413 del 14 maggio 2014 la Corte di Cassazione ha chiarito che,  per il calcolo dell’ indennità di buonuscita del lavoratore che abbia temporaneamente percepito la retribuzione corrispondente alla superiore    qualifica di dirigente, svolta in regime di reggenza,  lo stipendio utile ai fini del  calcolo del TFR è quello relativo alla inferiore mansione di appartenenza.

La vicenda in commento è quella di due dipendenti del Ministero delle Finanze che si erano rivolti al Giudice del lavoro, chiedendo che la quantificazione  della loro indennità di buonuscita venisse rapportata alla retribuzione dirigenziale percepita al momento della risoluzione del rapporto di lavoro per pensionamento.

I lavoratori, inquadrati nella IX qualifica funzionale, posizione C3, nei tre anni precedenti  al pensionamento avevano ricoperto le mansioni superiori di dirigente, seppur in regime di reggenza.

I due gradi di giudizio del merito si erano conclusi con il rigetto del ricorso. Decisione motivata sull’assunto che   solamente per i dirigenti di ruolo  i corrispondenti trattamenti economici  possano incidere sul calcolo della indennità di buonuscita, circostanza invece esclusa  per i funzionari chiamati a ricoprire in via temporanea una funzione dirigenziale vacante.

Investita della questione, la Suprema Corte ha richiamato la normativa di riferimento (1), in base alla quale,  in virtù dello svolgimento di fatto di funzioni corrispondenti a quelle di natura dirigenziale, per un periodo affidato in reggenza, il lavoratore ha diritto al  trattamento economico previsto per tale qualifica.

L’unico scopo di questa disposizione  è però quello di compensare adeguatamente l’esercizio temporaneo delle mansioni superiori e, pertanto, tale trattamento non rientra nella nozione di stipendio, intenso come la corresponsione  economica  riferibile alla qualifica contrattuale di appartenenza.

Nel rispetto di quanto appena premesso, la Cassazione ha ribadito che, come base del calcolo dell’indennità di buonuscita, per “stipendio” deve intendersi il trattamento retributivo inerente alla qualifica contrattuale di appartenenza, con l’esclusione degli altri emolumenti, eventualmente erogati, esclusi dall’elencazione tassativa riportata negli artt.3 e 38 del D.P.R. n.1032/1973, che individuano  le ulteriori indennità utili per la quantificazione della buonuscita.

Per la Corte di legittimità, qualora si optasse per la soluzione proposta dai lavoratori, rivolta alla liquidazione del Trattamento di Fine Rapporto in relazione alla retribuzione percepita temporaneamente per lo svolgimento delle mansioni superiori, si perverrebbe ad un sostanziale aggiramento della norma legale che, nell’ambito del  Pubblico Impiego, esclude l’acquisizione del superiore livello da parte del dipendente di fatto.

In sostanza, quello sopra riportato è lo  stesso principio applicato  nelle ipotesi di conferimento di incarichi temporanei non in regime di reggenza, per i quali, ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, la legge (2) stabilisce che, ai dipendenti statali titolari  di funzioni dirigenziali,  l’ultimo stipendio deve essere individuato nella retribuzione percepita prima del conferimento dell’incarico avente durata inferiore a tre anni.

La Cassazione ha concluso ribadendo che l’esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza, non può costituire una novazione del rapporto per fatti concludenti. Ciò, infatti,   contrasterebbe con quanto previsto dalla norma (3), secondo la quale l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non assume efficacia ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.

Tale novazione, inoltre, risulterebbe in contrasto anche con il principio del necessario concorso, o procedura selettiva comparativa, per l’accesso alla dirigenza pubblica.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - art.52 del D.Lgs. n.165/2001 (Disciplina delle mansioni);
(2)   - art 19 del D.Lgs n.165/2001 (incarichi di funzioni dirigenziali);
(3)   - art.52 del D.Lgs. n.165/2001;

Effetti sulla causa di lavoro della sentenza penale che abbia assolto il dipendente

Nella sentenza n.9654 del 6 maggio 2014 la Corte di Cassazione ha riepilogato quali siano gli effetti della sentenza penale di assoluzione del dipendente sulla causa di lavoro, chiarendo che la tale pronuncia  non possa essere opposta al datore di lavoro che non abbia preso parte al giudizio.

Nel richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia, la Suprema Corte ha inoltre ricordato  come, nell'ambito del giudizio civile di danni, così come in quello attinente agli altri giudizi civili,  la pronuncia di assoluzione abbia efficacia preclusiva nel rito civile solamente nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento dell'insussistenza del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nella diversa ipotesi nella quale l'assoluzione sia stata determinata per la mancanza di sufficienti elementi di prova sulla commissione del reato o della riconducibilità  dello stesso all'imputato.

Il caso di specie è quello di un lavoratore che aveva aggredito fisicamente il proprio dirigente e che, per tale ragione, era stato convenuto in un procedimento penale.

Nelle more di tale giudizio, il licenziamento per giusta causa irrogato dal datore aveva scaturito anche un contenzioso in sede civile.

Passata in giudicato la sentenza penale di assoluzione, il lavoratore si era rivolto alla Cassazione, contestando la pronuncia del merito che aveva confermato la legittimità del licenziamento irrogatogli.

Rigettando il ricorso, la  Suprema Corte  ha escluso che l'effetto preclusivo del giudicato penale potesse operare nei confronti del processo del lavoro, in quanto l’assoluzione dell’imputato  era stata disposta esclusivamente per  la mancanza di sufficienti elementi probatori sulla commissione del fatto o sulla sua attribuibilità al ricorrente.

La Cassazione ha dunque confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa disposto dal datore di lavoro, in quanto la gravità della condotta  assunta dal dipendente risultava, di fatto, incompatibile  con la prosecuzione  del rapporto di lavoro.

Valerio Pollastrini

Bonus 80 euro – Le risposte alle domande più frequenti

Il Decreto Legge n. 66 del 24 aprile 2014, recante le misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, ha introdotto il c.d. “bonus Irpef di 80,00 €” in favore dei lavoratori dipendenti e di alcune categorie di collaboratori il cui reddito è assimilato a quello da lavoro dipendente.

Con la Circolare n. 8/E del 28 aprile 2014, l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti sull’agevolazione in commento.

Con la Circolare n. 9/E del 14 maggio 2014 l’Agenzia ha invece risposto ad alcuni quesiti posti su varie questioni, concernenti: i soggetti beneficiari, l’applicazione del credito da parte dei sostituti d’imposta, il recupero del credito erogato e il coordinamento con altre misure agevolative.

Nelle pagine seguenti, si riportano i principali chiarimenti, selezionati dal Consiglio Provinciale di Roma dell’ordine dei Consulenti del Lavoro.

 
SOGGETTI BENEFICIARI

Soggetti non residenti:
D. - Il credito deve essere erogato anche a lavoratori non residenti fiscalmente in Italia? In caso affermativo come si calcola il reddito complessivo?

R. 1 - Sì. Al ricorrere dei presupposti stabiliti dal comma 1-bis dell’art. 13 del TUIR, il credito spetta. Il credito non spetta, comunque, nell’ipotesi in cui il reddito di lavoro non sia imponibile in Italia per effetto dell’applicazione di convenzioni contro le doppie imposizioni o di altri accordi internazionali.

R. 2 - Il reddito complessivo dei non residenti si calcola in base alle ordinarie regole previste dall’art. 3 del TUIR, secondo cui per i soggetti non residenti il reddito complessivo è formato dai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

Prestazioni a sostegno del reddito:
D. - Gli importi percepiti dai lavoratori a titolo di cassa integrazione guadagni, indennità di mobilità e indennità di disoccupazione danno diritto al credito? Chi lo riconosce?

R. - Considerato che le indennità in esame costituiscono reddito di lavoro dipendente e danno diritto alle relative detrazioni, si ritiene che il credito vada calcolato per le erogazioni effettuate nel 2014, tenendo conto dei giorni che danno diritto alle indennità.

Computo del periodo di lavoro:
D. - Spetta il credito nelle particolari ipotesi di aspettativa non retribuita, part time ed erogazione di premi dopo la cessazione del rapporto di lavoro?

R. - Il credito spetta se l’imposta lorda sui redditi di lavoro è superiore alle detrazioni per lavoro. Nella verifica della spettanza del credito, il disposto secondo cui il credito è rapportato al periodo di lavoro nell'anno, deve essere inteso facendo riferimento ai giorni che danno diritto alle detrazioni per lavoro.

Perciò dai giorni per cui spettano le detrazioni vanno sottratti i giorni per i quali non spetta alcun reddito, come in caso di assenza per aspettativa senza corresponsione di assegni.

Nessuna riduzione delle detrazioni va effettuata in caso di particolari modalità di articolazione dell'orario di lavoro, quali il part time verticale o orizzontale.

Per quanto concerne i premi di risultato erogati in anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, si ricorda che nel calcolo del numero dei giorni, per i quali spetta il diritto alle detrazioni, non vanno considerati quelli compresi in periodi di lavoro per i quali si è già fruito in precedenza delle detrazioni. Nel caso prospettato, è presumibile che le detrazioni per lavoro dipendente siano state già fruite in precedenza durante il periodo di lavoro che ha dato diritto al premio e, quindi, che il credito non spetti.

Eredi del lavoratore:
D. - Per un lavoratore deceduto ad aprile, per i primi mesi dell’anno spetta il credito agli eredi? Come lo devono considerare gli eredi?

R. - Il credito spetta anche ai lavoratori deceduti in relazione al loro periodo di lavoro nel 2014 e sarà calcolato nella dichiarazione dei redditi del lavoratore deceduto presentata da uno degli eredi, secondo modalità che saranno specificate nel relativo modello.
Nel caso in cui il lavoratore sia deceduto dopo l’inizio dell’erogazione del credito da parte sostituto d’imposta, la parte di credito eventualmente maturata nel periodo di paga in cui è avvenuto il decesso, e materialmente percepita dagli eredi, continua a mantenere la sua qualificazione fiscale e, quindi, non costituisce reddito per gli stessi.

Interessi sui crediti da lavoro:
D. - Come devono essere considerate le somme di cui all’art. 429, ultimo comma, del c.p.c., considerate equiparate al reddito di lavoro dipendente in base all’art. 49, comma 2, lett. b), del TUIR?

R. - Per quanto riguarda gli interessi su crediti di lavoro e della rivalutazione, che rientrano nei redditi di lavoro dipendente è necessario verificare se spettano le detrazioni per lavoro. 

CALCOLO DEL CREDITO

Calcolo del credito da erogare nel periodo di paga:
D. - Quali sono le modalità di calcolo del credito da erogare in ciascun periodo di paga che devono seguire i sostituti d’imposta?

R. - Il credito spettante al lavoratore va calcolato su base annua e successivamente si determina l’importo che il sostituto deve erogare in ciascun periodo di paga. In particolare, i sostituti d’imposta che erogano i redditi che danno diritto al credito devono:

- verificare la “capienza” dell’imposta lorda sui redditi da lavoro rispetto alle detrazioni per lavoro (comma 1-bis dell’art. 13);

- calcolare l’importo del credito spettante in relazione al reddito complessivo (comma 1-bis dell’art. 13), tenendo conto che il credito va rapportato al periodo di lavoro nell'anno (comma 3 dell’art. 1 del decreto);

- determinare l’importo da erogare in ciascun periodo di paga (commi 3 e 4 dell’art. 1 del decreto).

Per quanto concerne la verifica della “capienza”, si precisa che i termini di confronto devono essere omogenei e, quindi, occorre calcolare le detrazioni spettanti in base ai soli redditi che danno potenzialmente diritto al credito. In sostanza, l’imposta lorda sui redditi di lavoro dipendente e assimilati deve essere di importo superiore alle detrazioni calcolate su un reddito complessivo formato dai medesimi redditi che hanno determinato l’imposta lorda stessa.

Esempi di calcolo del credito:
Si sa che il calcolo del credito va effettuato considerando che se il reddito complessivo:

- non è superiore a 24.000 euro, il credito è di importo pari a 640 euro;

- è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro, il credito di 640 euro spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro.

L’importo del credito si azzera al raggiungimento di un livello di reddito complessivo pari a 26.000 euro.
Se il periodo di lavoro nell’anno 2014 è inferiore a 365 giorni, l’importo del credito spettante, come precedentemente determinato, deve essere parametrato al numero dei giorni di lavoro dell’anno, calcolati tenendo conto delle regole ordinariamente applicabili per l’applicazione delle detrazioni previste dall’art. 13 del TUIR.

Esempio n.1 - Per un lavoratore impiegato per l’intero 2014 il cui reddito complessivo è di 24.800 euro, l’importo del credito spettante è pari a:
credito = 640 x [(26.000 – 24.800)/2.000] = 640 x 1.200/2000 = 640 x 0,6 = 384.

Esempio n.2 - Per un lavoratore impiegato per l’intero 2014 il cui reddito complessivo è di 25.200 euro, l’importo del credito spettante è pari a:
credito = 640 x [(26.000 – 25.200)/2.000] = 640 x 800/2000 = 640 x 0,4 = 256.

Esempio n.3 - Un lavoratore il cui reddito complessivo è di euro 22.000 e che:
- ha cessato il rapporto di lavoro il 30 aprile 2014 (120 giorni di lavoro nel 2014) avrà diritto soltanto a parte del credito, pari a euro 640/365 x 120 = euro 210,41;

- ha iniziato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato il 3 giugno 2014 (212 giorni di lavoro del 2014) avrà diritto soltanto a parte del credito, in quanto euro 640/365 x 212 = euro 371,73.

Esempi di ripartizione del credito:
Per la ripartizione del credito spettante, come in precedenza determinato, tra i periodi di paga che vanno da maggio a dicembre (o da giugno a dicembre), o comunque tra i periodi di paga interessati in relazione all’eventuale durata infrannuale del rapporto di lavoro, occorre considerare che il credito deve essere parametrato al numero di giorni lavorati nell'anno.
Ne consegue che la ripartizione del credito spettante tra i periodi di paga potrà avvenire tenendo conto del numero di giorni lavorati in ciascun periodo di paga.
Il medesimo criterio di calcolo vale anche per i periodi di lavoro infrannuali.

Esempio n.1 - In caso di erogazioni da maggio a dicembre 2014 (245 giorni), per trovare l’importo da erogare nel mese, il credito complessivamente spettante dovrebbe essere diviso per 245 e poi moltiplicato per i giorni di ciascun mese.

Supponendo un importo del credito spettante complessivamente pari a 640 euro, l’importo del credito erogato in ciascun periodo di paga sarà pari a euro 640/245 x 31 = 80,98 per i mesi di maggio, luglio, agosto, ottobre e dicembre, e pari a euro 640/245 x 30 = 78,37 per i mesi di giugno, settembre e novembre.

Esempio n.2 - In caso di erogazioni da giugno a dicembre 2014 (214 giorni), l’importo del credito erogato in ciascun periodo di paga sarà pari a euro 640/214 x 31 = 92,71 per i mesi di luglio, agosto, ottobre e dicembre, e pari a euro 640/214 x 30 = 89,72 a giugno, settembre e novembre.

Esempio n.3 - Per un rapporto di lavoro che inizia il 15 maggio 2014 e termina il 15 settembre 2014, perun totale di 124 giorni di lavoro, supponendo un reddito complessivo fino a 24.000 euro, il credito spettante parametrato al numero di giorni lavorati è pari a euro 640/365 x 124 = 217,42, da ripartire in base ai giorni di lavoro in ciascun mese: 29,81 euro per i 17 giorni di maggio; 52,60 euro per i 30 giorni di giugno; 54,36 euro per i 31 giorni di luglio e agosto; 26,30 euro per i 15 giorni di settembre.

L’Agenzia precisa altresì che, per semplicità di applicazione, è comunque possibile utilizzare anche altri criteri, purché oggettivi e costanti, ferma restando la ripartizione dell’intero importo del credito spettante tra le retribuzioni dell’anno 2014.

Ad esempio, è possibile ripartire l’importo del credito spettante considerando il numero dei periodi di paga in cui il credito stesso è erogato.

Per i rapporti di lavoro che si protraggono per l’intero anno 2014, in cui non appare rilevante ai fini in esame la considerazione dell’esatto numero dei giorni di ciascun mese, l’importo del credito di 640 euro su base annua potrà essere erogato per un importo pari a 80 euro al mese per ciascuno degli 8 mesi che vanno da maggio a dicembre 2014. Ovviamente, se l’erogazione avvenisse per motivi tecnici nei 7 mesi da giugno a dicembre 2014 l’importo sarebbe di 91,43 euro al mese.

Non è consentito, invece, dividere l’importo del credito di 640 euro su base annua per le 12 mensilità, ed erogare euro 53,33 per ciascuno degli 8 mesi che vanno da maggio a dicembre 2014 (totale € 426,67), erogando solo a conguaglio la differenza (€ 213,33).

Calcolo del credito e precedenti rapporti di lavoro:
D. - Come si deve comportare un sostituto d’imposta in caso di assunzione nel corso del 2014 di un lavoratore che abbia intrattenuto un precedente rapporto di lavoro nel medesimo anno?

R. - Se l’interessato consegna il CUD al nuovo datore di lavoro, quest’ultimo dovrà tenere conto dei dati ivi esposti per calcolare la spettanza del credito e il relativo importo.

In questo caso, la verifica della “capienza” dell’imposta lorda rispetto alle detrazioni per lavoro dipendente e assimilato andrà effettuata tenendo conto anche dell’importo del reddito e dei giorni per cui spettano le detrazioni per lavoro, indicati nel CUD relativo al precedente rapporto di lavoro, così come la determinazione dell’importo del credito spettante in relazione al reddito complessivo andrà effettuata tenendo conto anche del reddito indicato nel medesimo CUD.

Dall’importo del credito spettante dovrà essere detratto quanto eventualmente riconosciuto dal precedente sostituto d’imposta. L’importo del credito residuo da erogare dovrà essere ripartito tra i periodi di paga, tenendo conto del numero di giorni lavorati in ciascun periodo di paga, secondo le modalità indicate nel paragrafo precedente. Se il nuovo assunto non produce il CUD relativo al precedente rapporto di lavoro il sostituto d’imposta è tenuto a determinare la spettanza del credito e il relativo importo sulla base dei soli dati reddituali a propria disposizione, fermo restando che il nuovo assunto è tenuto a comunicare al sostituto stesso di non avere i presupposti per il riconoscimento del credito, ad esempio perché sommando i redditi derivanti dai due rapporti di lavoro ha un reddito complessivo superiore a quello che consente il relativo riconoscimento.

Rapporti di lavoro contestuali:
D. - Nell’ipotesi in cui un soggetto abbia in corso contemporaneamente più rapporti di lavoro che danno diritto al credito, come si devono comportare i sostituti nei confronti del soggetto?

R. - Nei casi in cui un soggetto sia titolare di redditi di lavoro derivanti da più rapporti di lavoro contestuali che isolatamente considerati danno diritto al credito, ma l’importo del reddito complessivamente derivante dai rapporti in essere ecceda quello massimo previsto dal comma 1-bis dell’art. 13 del TUIR, non sussiste il presupposto per il riconoscimento del credito e il lavoratore è tenuto a comunicare detta circostanza ai sostituti d’imposta. Questi ultimi, sulla base della comunicazione ricevuta, non riconosceranno il credito.

Ad esempio, se un soggetto è titolare di due rapporti di collaborazione, per i quali è previsto un compenso, rispettivamente, di euro12.000 e di euro 18.000, i due sostituti d’imposta devono riconoscere il credito in via automatica. Il lavoratore, tuttavia, sa che sommando il reddito lordo dei due rapporti raggiunge un reddito complessivo di euro 30.000 e non ha diritto al credito. Per effetto di quanto indicato nella circolare, il lavoratore è tenuto comunicare ai due sostituti d’imposta di non aver diritto al credito. Nella diversa ipotesi in cui l’importo del reddito complessivamente derivante dai rapporti in essere non ecceda quello massimo previsto dal comma 1-bis dell’art. 13 del TUIR, sussiste il presupposto per il riconoscimento del credito e il lavoratore è tenuto a chiedere a uno dei due sostituti d’imposta di non riconoscere il credito. In tal modo, il credito sarà riconosciuto da un solo sostituto d’imposta.

Ricalcolo delle condizioni di spettanza del credito:
D. - E’ possibile effettuare il ricalcolo delle condizioni di spettanza del credito già erogato nei periodo di paga successivi, per anticipare il recupero del credito non spettante rispetto al conguaglio di fine anno o di fine rapporto?

R. - Il sostituto d’imposta, a fronte di variazioni del reddito o delle detrazioni riferite alle somme e valori che il sostituto stesso corrisponderà durante l’anno, nonché a fronte dei dati di cui entra in possesso, potrà effettuare il ricalcolo del credito spettante e recuperarlo nei periodi di paga successivi a quello di erogazione del credito, anche prima del conguaglio di fine anno o di fine rapporto.

Si precisa, che se le variazioni di retribuzione, in aumento o in diminuzione, comportano la maturazione a favore del lavoratore del diritto al credito, in precedenza non spettante, il sostituto deve riconoscere il credito in via automatica a partire dal primo periodo di paga utile o, in mancanza, in sede di conguaglio di fine anno o di fine rapporto. Potrebbe essere il caso, ad esempio, di un aumento di retribuzione che rende capiente l’imposta lorda sui redditi da lavoro rispetto alle detrazioni per lavoro, o di una riduzione dell’orario di lavoro che comporta l’erogazione di un reddito inferiore a 26.000 euro nel corso del 2014.

Redditi assoggettati a cedolare secca:
D. - Al fine di verificare il limite di 26.000 euro si devono considerare anche i redditi assoggettati a cedolare secca?

R. - I redditi assoggettati a cedolare secca devono essere considerati nella determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini della verifica della spettanza del credito. 

COORDINAMENTO CON ALTRE MISURE AGEVOLATIVE

Imposta sostitutiva per gli incrementi di produttività:
D. - Nel calcolo del credito si deve tenere conto dei redditi assoggettati all’imposta sostitutiva per gli incrementi di produttività?

R. - Il reddito assoggettato all’imposta sostitutiva in esame non deve essere computato nel reddito complessivo, al fine di calcolare l’importo del credito spettante in relazione alla soglia dei 26.000 euro di cui al comma 1-bis dell’art. 13 del TUIR.
Tuttavia, ad evitare penalizzazioni per i lavoratori dipendenti che hanno i presupposti per la fruizione dell’imposta sostituiva per incrementi di produttività, il reddito di lavoro dipendente assoggettato a imposta sostitutiva deve comunque essere sommato ai redditi tassati in via ordinaria per la verifica della “capienza” dell’imposta lorda determinata sui redditi da lavoro rispetto alle detrazioni da lavoro spettanti.
Rimane ferma la possibilità per i soggetti interessati di optare per la tassazione ordinaria del reddito di lavoro dipendente in luogo dell’applicazione dell’imposta sostitutiva.

Retribuzioni convenzionali e altre disposizioni di favore:
D. - Il credito deve essere erogato anche ai lavoratori che determinano il reddito in base alle retribuzioni convenzionali di cui all’art. 51, comma 8-bis, del TUIR?

R. - I lavoratori che determinano il reddito di lavoro dipendente in base alle retribuzioni convenzionali di cui al comma 8-bis dell’art. 51 del TUIR, ove sussistano i requisiti previsti dal comma 1-bis dell’art. 13 del TUIR, possono fruire del credito, in quanto si tratta di contribuenti i cui redditi di lavoro dipendente, sia pure determinati con modalità diverse da quelle ordinarie, confluiscono comunque nel reddito complessivo.
Per i lavoratori c.d. frontalieri, la verifica della spettanza del credito e la determinazione del relativo importo in relazione al reddito complessivo va effettuata tenendo conto del reddito di lavoro dipendente eccedente l’importo di 6.700 euro.

ALTRE QUESTIONI

Credito d’imposta per le imprese marittime:
D. - L’importo del credito abbatte le ritenute d’acconto al fine di applicare il credito d’imposta per le imprese marittime, di cui all’art. 4, comma 1, della legge n. 30 del 1998?

R. - Il credito non abbatte l’importo delle ritenute ai fini dell’agevolazione di cui all’art. 4, comma 1, della legge n. 30 del 1998. Ciò in quanto il calcolo delle ritenute da applicare sui redditi di lavoro corrisposti dai sostituti d’imposta rimane immutato rispetto alla situazione preesistente al decreto, lasciando immutato anche il corrispondente credito d’imposta per le imprese marittime commisurate alle ritenute sui redditi di lavoro dipendente corrisposti ai marinai imbarcati su navi iscritte nel registro internazionale.

Modalità di recupero delle somme erogate dai sostituti:
D. - Come avviene il recupero del credito da parte dei sostituti d’imposta a seguito dell’emanazione della risoluzione 48 del 2014 che ha istituito il relativo codice tributo?

R. - Il recupero da parte dei sostituti d’imposta avviene mediante compensazione con le somme a debito utilizzando il modello di pagamento F24.

La suddetta modalità di recupero e il relativo codice tributo può essere adottata anche dai sostituti d’imposta tenuti all’utilizzo del modello F24 enti pubblici per i versamenti fiscali e contributivi, come delineato dalla circolare n. 20/E del 5 marzo 2001. In particolare, detti sostituti utilizzano:

- il modello F24 ordinario con saldo complessivo pari a zero, indicando nella colonna “importi a credito compensati” le somme da recuperare e nella colonna “importi a debito versati” il corrispondente ammontare di ritenute e contributi previdenziali;

- il modello F24 enti pubblici, indicando i relativi codici e causali, per eventuali somme da versare.

Per quanto riguarda le Amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici, compresi coloro che utilizzano il modello F24 enti pubblici, si conferma la possibilità di recuperare il bonus erogato mediante scomputo dalle ritenute e dai contributi dovuti.