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mercoledì 29 agosto 2012

Cambio appalto e tutela dei diritti dei lavoratori


Con l'interpello n.22/2012 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali fornisce alcuni chiarimenti in merito ai diritti dei lavoratori subordinati coinvolti nella successione degli appalti.
L'istanza sul merito e' stata presentata dall’Associazione Nazionale Sindacati dei Trasporti e dei Servizi che ha chiesto alla Direzione generale per l'Attivita' Ispettiva “quale possa essere lo strumento legale assimilabile al cambio d’appalto e che ne qualifichi lo spessore giuridico-contrattuale” e quale tutela sia esperibile “al fine di garantire i diritti dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro”.
L'Ente interpellato ha ricordato che la materia della successione negli appalti tra imprese e' regolamentata dalla contrattazione collettiva.
Ad esempio, per quanto riguarda i dipendenti di aziende rientranti nel campo dell'Igiene Ambientale, l'articolo 6 del relativo CCNL, prevede che in tutti casi di cessazione di un appalto di servizi e di conseguente aggiudicazione dell’appalto da parte di una diversa impresa, i rapporti di lavoro sussistenti con la prima azienda appaltatrice vengono a cessare e l’appaltatrice subentra nella gestione dei rapporti di lavoro se impiegati presso l’azienda cessante nei 240 giorni precedenti l’inizio della nuova gestione.

La principale problematica rappresentata da un impianto normativo retto dai contratti collettivi e' costituita dall'efficacia soggettivamente limitata di tale fonte. Le clausole che garantiscono ai lavoratori la continuità del rapporto di lavoro risultano opponibili all’impresa subentrante solo se anch’essa applica lo stesso contratto collettivo o altro contratto che contempli analogo obbligo.
Tale criticità risulta amplificata dal fatto che alcuni strumenti legali di tutela dei lavoratori risultano difficilmente estendibili alla successione degli appalti.
Basti pensare, al riguardo, quanto riportato dalla Circolare L/01 del 28 maggio 2001, con la quale il Ministero del lavoro ha escluso i licenziamenti comunicati a causa della cessazione di un appalto, qualunque sia il loro numero, dall’area di applicazione della disciplina dei licenziamenti colllettivi di cui alla legge n.223/1991ed ha affermato che gli stessi debbano essere considerrati come licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo da assoggettare, quindi, alla disciplina della L. n. 604/1966. In tal modo, i lavoratori licenziati vengono automaticamente esclusi dalla possibile fruizione dell'indennita' di mobilita'.
Tale scelta viene giustificata dal Ministero attraverso l'assunto che la perdita di un appalto di servizi non può essere ricondotta alle situazioni tipiche di sospensione del lavoro o riduzione del personale per situazioni temporanee di mercato né ad ipotesi di ristrutturazione o crisi aziendale quanto, piuttosto, ad un turn over assolutamente “fisiologico”. In tale contesto il cambio di gestione nell’appalto viene disciplinato allo scopo principale di salvaguardare i livelli occupazionali mediante un impegno all’assunzione degli addetti al singolo appalto da parte dell’impresa subentrante mediante uno strumento contrattuale di tutela dell’occupazione.
Del resto il suddetto orientamento trova conferma nell'art.7, comma 4 bis, della L. n. 31/2008, il quale attribuisce espressamente ai contratti o agli accordi collettivi stipulati tra le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, il compito di perseguire, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante, il fine della piena occupazione e l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, nonche' l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore.
In merito all’acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore,va inoltre precisato che l'art. 29, comma 3 del D.Lgs. n. 276/2003 esclude la configurabilita' della fattispecie del trasferimento d'azienda. Ciò sta a significare che il passaggio del dipendente da una azienda all’altra in caso di cambio appalto può avvenire senza il riconoscimento al lavoratore dell’anzianità di servizio o della retribuzione e livello di inquadramento, salvo, ben inteso, che il contratto collettivo non disponga il contrario.
Del resto anche la giurisprudenza, negli anni, non si e' discostata dagli indirizzi normativi citati. Ad esempio la Corte di Cassazione, nel decidere su questioni attinenti i licenziamenti effettuati per cambio appalto o per mancate assunzioni da parte delle nuove società appaltatrici, con la sentenza n.12613 del 2007 ha affermato che, in caso di cessazione dell’appalto originario o per la scadenza del contratto, nonche' per la risoluzione anticipata dello stesso, la sussistenza per il lavoratore di un diritto all’assunzione diretta da parte dell’impresa subentrante, dipende dalla eventuale esplicita previsione della contrattazione collettiva inerente al cambio di appalto.
La Suprema Corte, in molteplici occasioni, ha peraltro osservato che la tutela prevista dai contratti collettivi non esclude ma si aggiunge a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento per il cambio appalto, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario. (Cass., sez. lav., sent. cit.; Cass., sez. lav., n. 4166/2006; v. anche Cass., sez. lav., n. 3337/1998; Cass., sez. lav., n. 15593/2002).
Quanto fin ora dedotto induce a riassumere che, da un lato, grazie alla riconduzione della cessazione del rapporto di lavoro al licenziamento individuale, si afferma per il lavoratore il diritto di impugnare il licenziamento per insussistenza del giustificato motivo oggettivo; dall’altro, si rafforza l’obbligo giuridico per l’azienda subentrante di assunzione diretta del lavoratore in base alle previsioni contenute nel contratto collettivo e la conseguente possibilità per il lavoratore, in caso di inottemperanza, di adire l’Autorità giudiziaria.

Va da ultimo osservato che, sebbene l’art. 29, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003 non ammetta la riconduzione del cambio appalto al trasferimento d’azienda o di un ramo di essa, ciò non esclude che, se in sede giudiziaria venisse accertato che, la successione dell'appalto avesse mascherato, nel concreto, un vero e proprio trasferimento di azienda, occorrerà applicare la relativa disciplina con riconoscimento, quindi, della continuità dei rapporti di lavoro tra impresa cedente e cessionaria.

Valerio Pollastrini

Pubblicata sul sito del Ministero l'Agenda del Governo per sostenere la crescita

28 agosto 2012
Agenda del Governo per sostenere la crescita
Presentato dal Consiglio dei Ministri il 24 agosto, il documento contiene anche le azioni in programma in tema di lavoro.

E’ stata discussa dal Consiglio dei Ministri dello scorso 24 agosto e presentata al termine di una intensa giornata di lavori, l’Agenda del Governo - Obiettivo crescita. Il documento mira a definire - dopo una prima fase caratterizzata dall’avvio di nuove iniziative - l’azione coordinata e finalizzata a sostenere la crescita del Paese che il Governo intende portare avanti nei prossimi mesi. 

La sfida per il prossimo futuro, in particolare, sarà quella di rafforzare la strategia iniziata al fine di sollecitare le principali leve del sistema economico nazionale accrescendo la produttività e aprendo nuove opportunità di impresa e lavoro secondo gli obbiettivi posti dalla Strategia Europa 2020. 

Fra i punti messi in agenda dal Governo, uno specifico riferimento alla modernizzazione del nostro mercato del lavoro che, anche alla luce delle recenti novità introdotte dalla Riforma Fornero, passerà dalle seguenti azioni:

- Avviare un serio e puntuale monitoraggio degli effetti della riforma;

- Adottare i provvedimenti per rafforzare la partecipazione dei lavoratori;

- Rafforzare i servizi per l’impiego, le politiche attive e l'apprendimento permanente;

- Intensificare le azioni finalizzate a promuovere la formazione, la mobilità internazionale, l’inserimento nel mondo lavorativo dei giovani (attingendo a finanziamenti europei);

- Avviare iniziative atte ad accorciare i tempi della transizione scuola-lavoro e di quella tra gli stati disoccupazione-occupazione;

- Presidiare l’attività concernente gli ammortizzatori sociali, compresi quelli in deroga, per rispondere con tempestività alle esigenze sollecitate dalla perdurante recessione economica;

- Promuovere la stabilizzazione dei contratti a termine o di apprendistato;

- Razionalizzare e indirizzare le misure e gli incentivi per l’imprenditoria giovanile e femminile;

martedì 28 agosto 2012

Appalto e subappalto: responsabilita' solidale per i crediti di lavoro

L'art. 1292 del c.c. definisce l'obbligazione solidale passiva quella fattispecie in cui più debitori sono obbligati per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità del debito. In tal caso l'adempimento di uno di essi libera gli altri.
Lo scopo della solidarietà passiva e' quello di rafforzare il credito, in quanto attribuisce al creditore la facoltà di chiedere l'adempimento dell'esatta prestazione ad uno qualunque dei debitori.
Il 10 agosto 2012 l'Inps ha diramato la circolare n.106, con l'intento di fornire indicazioni operative per uniformare i comportamenti nella gestione delle obbligazioni nascenti da vincoli di solidarietà, sia per quanto riguarda la fase dell'accertamento ispettivo che quella del recupero del credito.
Di primario interesse, risulta in questa sede, il riepilogo compiuto dall'Istituto Previdenziale della disciplina relativa all'obbligazione solidale nel campo del lavoro.
Le ipotesi di responsabilità solidale passiva verso l'Inps, scaturenti da violazioni di natura contributiva, sono state ampliate nel tempo attraverso reiterati interventi normativi concentrati, in particolare, sulla disciplina prevista per il contratto di appalto.
I soggetti tutelati sono tutti i lavoratori, ovvero, non solo i lavoratori subordinati, ma anche quelli impiegati nell'appalto con altre tipologie contrattuali (ad es. collaboratori a progetto), nonché quelli in nero, purché impiegati direttamente nell'opera o nel servizio oggetto dell'appalto.
Le norme di riferimento sono l'art. 29, comma 2, del D.Lgs. n.10 settembre 2003, n.276 e l'art.35, comma 28, del D.L.4 luglio 2006, n.233.
La prima sancisce che nel caso di appalto di opere o servizi il committente e` obbligato in solido con l'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto.
L'obbligazione riguarda la corresponsione ai lavoratori impiegati nell'appalto dei trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali dovuti.
Il committente, convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore, potra' eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo.
In tal caso l'azione esecutiva potra' essere intentata nei confronti del committente solamente dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore.
L'eccezione potra' essere sollevata anche nel caso in cui l'appaltatore non fosse stato convenuto in giudizio. In questo caso pero', il committente dovra' indicare i beni del patrimonio dell'appaltatore sui quali il lavoratore potra' agevolmente soddisfare i suoi crediti.
Qualora il committente fosse costretto ad eseguire il pagamento in luogo dell'appaltatore potra' successivamente esercitare l'azione di regresso nei confronti di quest'ultimo secondo le regole generali.

La seconda norma citata dalla circolare in commento, in vigore fino al 28/04/2012, riguarda invece la disciplina del subappalto e dispone la responsabilità solidale dell'appaltatore con il subappaltatore per il pagamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente ed il versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui e' tenuto il subappaltatore.
La citata norma e` stata sostituita, a decorrere dal 29/04/2012, dall'art.2 comma 5 bis legge n.44/2012, ma mantiene la propria efficacia fino a tale data.
Per i periodi successivi, la nuova disposizione legislativa coinvolge il committente nel rapporto tra appaltatore e subappaltatore nelle obbligazioni di natura fiscale. Il committente e` infatti obbligato in solido con l'appaltatore e con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, al versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva scaturente dalle fatture inerenti le prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto.
Il coinvolgimento del committente si avra' ogni qualvolta quest'ultimo non dimostri di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento.


Dall'analisi complessiva delle menzionate disposizioni legislative, nonche' della loro progressione temporale, si evince dunque che il committente e` chiamato a rispondere in solido con l'appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, per l'intero importo della contribuzione previdenziale (nonché della retribuzione) dovuta, con esclusione, dalla data di entrata in vigore del D.L.5/2012 (10/02/2012), delle sanzioni civili, ai sensi dell'art.21 del medesimo decreto.
In merito alla esclusione delle sanzioni civili, il Ministero del lavoro, con la circolare n.2 del 2012, a chiarito che il regime di solidarietà permane sulle somme dovute a titolo di interesse moratorio sui debiti previdenziali (sia contributivi e assistenziali che assicurativi), nascenti sul debito contributivo una volta raggiunta l'entità massima prevista della sanzione civile.
Il Ministero ha, altresì chiarito che il dies a quo a partire dal quale il committente non risponde dell'obbligo relativo alle somme aggiuntive, coincide con tutti gli obblighi contributivi la cui scadenza e` successiva al 10 febbraio 2012, data di entrata in vigore del predetto decreto.
E` importante rimarcare che il vincolo della solidarietà viene meno dopo due anni dalla cessazione dell'appalto (ovvero, in presenza di subappaltatori, dopo due anni dalla cessazione del subappalto).

La responsabilita' in solido dell'appaltatore risponde inoltre ad un consolidato orientamento giurisprudenziale che considera il contratto di subappalto null'altro che un vero e proprio appalto - che si caratterizza, rispetto al contratto-tipo, solo per essere un contratto derivato da altro contratto stipulato a monte, che ne costituisce il presupposto. Tale interpretazione e` formulata nel rispetto della ratio della norma consistente nell'esigenza di assicurare una particolare tutela in favore dei lavoratori ausiliari dell'appaltatore, atta a preservarli dal rischio dell'inadempimento di questi, esigenza che ricorre identica tanto nell'appalto quanto nel subappalto.
Pertanto, a partire dal 29 aprile 2012, il regime complessivamente previsto per il committente obbligato in solido, come sopra descritto, va esteso anche all'appaltatore chiamato in solidarietà.


Indicazioni operative
Per quanto riguarda l'attivita' ispettiva dell'Ente previdenziale, la circolare 106/2012 prevede che, nei casi di accertata solidarieta', l'ispettore dovra' comunicare all'obbligato in solido il verbale di accertamento gia' notificato all'obbligato principale. Tale documento riportera' esclusivamente l'esposizione dettagliata dei fatti presupposto dell'addebito, ivi compreso l'elenco dei lavoratori ed i periodi di lavoro per ciascuno di essi ed riferimenti di legge da cui deriva il vincolo solidale.

Il verbale contenente l'addebito nei confronti dell'obbligato principale e' stato strutturato in modo da evidenziare, distintamente per ciascuno degli obbligati solidali, l'importo della contribuzione dovuta e delle somme aggiuntive, secondo il regime indicato nella premessa normativa.

Si rammenta, infine, che, come precisato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con interpello n.3/2010, il debito contributivo nascente da solidarieta' non pregiudica rilascio del DURC regolare.

Valerio Pollastrini

domenica 26 agosto 2012

Istruzioni per l'assunzione di colf e badanti

L'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha pubblicato nel proprio sito un vademecum sulle modalita' di instaurazione di un rapporto di lavoro domestico. Si tratta dei contratti di lavoro relativi alle attivita' di colf e badanti.
Il riepilogo degli adempimenti previsti in caso di assunzione tiene conto delle differenze formali tra lavoratori extracomunitari e quelli appartenenti alla Unione Europea.
Vengono inoltre evidenziati distintamente tutti gli adempimenti richiesti ai datori di lavoro e quelli a carico dei lavoratori.

ISTRUZIONI INPS
A seconda della provenienza e dell'eta` del lavoratore sono richiesti adempimenti diversi sia al datore di lavoro sia al lavoratore.

PER I LAVORATORI ITALIANI O DI PAESI DELL'UNIONE EUROPEA

Cosa deve fare il datore di lavoro

Nel caso il lavoratore domestico sia di nazionalita` italiana o di paesi della Unione Europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria) il datore di lavoro puo` assumere direttamente il lavoratore domestico, dopo aver concordato gli elementi del rapporto di lavoro (orario, retribuzione, ferie, ecc.).
Sono equiparati ai cittadini dell'Ue i cittadini Svizzeri e i cittadini degli stati appartenenti allo Spazio Economico Europeo - SEE (Norvegia, Islanda, Liechtenstein).


Cosa deve fare il lavoratore

Il lavoratore puo` essere assunto anche se non iscritto nelle liste di collocamento. E' pero` necessario che sia in possesso del codice fiscale, di un documento di identita` e della tessera sanitaria aggiornata e rilasciata dall'Asl.
Dato che e` ammessa l'assunzione di minori con eta` minima di 16 anni, se il lavoratore domestico e' minorenne, il lavoratore deve presentare oltre ai documenti gia` indicati:
- il certificato di idoneita` al lavoro, rilasciato dall'Ufficiale sanitario dell'Asl di zona dopo visita medica a cura e carico del datore di lavoro;
- la dichiarazione dei genitori o di chi ne esercita la potesta` familiare, vidimata dal Sindaco del comune di residenza, con cui si acconsente che il lavoratore minorenne viva presso la famiglia del datore di lavoro o, in alternativa, per i minori ad ore, l'autorizzazione scritta di chi esercita la patria potesta`.


PER I LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

Le procedure sono diverse se il lavoratore risiede gia` in Italia o se invece risiede all'estero.


SE IL LAVORATORE EXTRACOMUNITARIO GIA' RISIEDE IN ITALIA

Cosa deve fare il datore di lavoro

Il datore di lavoro che vuole assumere un lavoratore extracomunitario gia` residente in Italia deve stipulare con questo un contratto di soggiorno per lavoro, procedendo come segue:
- compilare e sottoscrivere, con il lavoratore straniero, il modulo Q per stipulare il contratto di soggiorno per lavoro. Il modulo e` scaricabile dai siti www.lavoro.gov.it, www.solidarietasociale.gov.it, www.interno.it o dal sito dello Sportello Unico dell'Immigrazione della Prefettura di residenza.
- inviare tramite raccomandata a/r allo Sportello Unico per l'Immigrazione della Prefettura di residenza l'originale del contratto di soggiorno (mod.Q) con allegata la copia di un documento d'identita`;
- consegnare al lavoratore straniero una copia del contratto di soggiorno e della ricevuta postale di ritorno, timbrata dallo Sportello Unico. Sulla ricevuta postale e` necessario indicare cognome e nome del lavoratore con il quale e` stato stipulato il contratto di soggiorno.


Cosa deve fare il lavoratore

- essere in possesso di un permesso di soggiorno valido per lo svolgimento di un'unita` lavorativa;
- compilare insieme al datore di lavoro, il modulo Q per il contratto di soggiorno per lavoro.


SE IL LAVORATORE EXTRACOMUNITARIO NON E' ANCORA ENTRATO IN ITALIA

Cosa deve fare il datore di lavoro

Ogni anno in Italia viene programmato attraverso il cosiddetto "Decreto Flussi" il numero massimo di lavoratori extracomunitari ai quali sara` concesso il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il Decreto entra in vigore quando viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Pertanto, il datore di lavoro che vuole instaurare un rapporto di lavoro domestico con un cittadino extracomunitario residente all'estero, deve attendere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto flussi dell'anno in corso e, a partire dalle scadenze indicate, presentare la domanda di nulla osta al lavoro.

Per ulteriori informazioni consultare il sito del Ministero dell'Interno.


Come presentare la domanda di nulla osta

La domanda puo` essere compilata e inviata esclusivamente via Internet.
Il Ministero dell'Interno, infatti, ha messo a punto una procedura di invio delle domande che elimina l'obbligo della spedizione postale e richiede, da parte del datore di lavoro, la disponibilita` di un computer e di un collegamento internet. Di seguito si elencano i passaggi della procedura telematica.

A) l'utente deve collegarsi al sito www.interno.it e registrarsi all'interno di una "sezione dedicata", inserendo nome, cognome, data di nascita, un indirizzo di posta elettronica e una password di accesso;
B) riceve una e-mail di conferma e di perfezionamento della registrazione all'indirizzo di posta elettronica da lui indicato;
C) l'utente deve scegliere, da un apposito elenco, la tipologia di domanda che vuole presentare ed inserire i dati anagrafici propri, del lavoratore e il luogo di impiego. La procedura genera un modulo che l'utente deve salvare sul proprio computer, per poi compilarlo senza dover rimanere connesso ad internet.
N.B. E' possibile richiedere anche ulteriori moduli per altre domande, fino ad un massimo di cinque.
D) per compilare il modulo cosi` salvato, occorre scaricare un apposito programma seguendo le istruzioni contenute nel sito.
E) terminata la compilazione di tutti i campi richiesti, la domanda e` pronta per l'invio.


Procedura per il rilascio del nulla osta al lavoro

La domanda, inviata allo Sportello unico, viene contestualmente resa disponibile anche alla Direzione Provinciale del Lavoro, alla Questura e al centro per l'impiego competenti. Lo Sportello Unico convoca il datore di lavoro per la consegna del nullaosta - che ha una validita` di 6 mesi - e la sottoscrizione del contratto di soggiorno, predisposto dallo stesso Sportello. In questa occasione, inoltre, il datore di lavoro deve esibire la documentazione relativa al reddito e la ricevuta dell'avvenuta richiesta del certificato di idoneita` alloggiativa (rilasciato dal Comune o dalla ASL competenti per territorio). Lo Sportello Unico trasmette per via telematica il nulla osta e la proposta di contratto di soggiorno alla competente rappresentanza diplomatico-consolare italiana all'estero, la quale rilascia allo straniero il visto d'ingresso, da lui precedentemente richiesto.


Delega per il ritiro del nulla osta

Se il datore di lavoro, per motivi di salute, non puo` recarsi allo Sportello Unico per ritirare il nulla osta al lavoro e firmare il contratto di soggiorno, puo` delegare il coniuge, i figli o altro parente in linea diretta o collaterale fino al terzo grado.
Il delegato dovra` esibire un proprio documento di riconoscimento e presentare al funzionario dello Sportello Unico una dichiarazione contenente l'esatta indicazione del motivo dell'impedimento.

Altri obblighi del datore di lavoro
Il datore di lavoro dovra` in ogni caso garantire quanto stabilito dal "Decreto Flussi" in vigore al momento della richiesta in merito all'orario di lavoro settimanale ed al reddito annuo. Il datore di lavoro che assume un lavoratore straniero in qualita` di assistente familiare, perche' affetto lui stesso da patologie o gravi handicap che ne limitano l'autosufficienza, non ha l'obbligo dell'autocertificazione relativa alla sua capacita' economica.
Inoltre, come previsto nel contratto di soggiorno, il datore di lavoro dovra`:
- impegnarsi al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel paese di provenienza;
- impegnarsi a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro;
- assicurare la disponibilita` di un alloggio adeguato e, al momento della convocazione presso lo Sportello Unico per la consegna del nulla osta, esibire la ricevuta dell'avvenuta richiesta del certificato di idoneita` alloggiativa rilasciato dal Comune o dall'Asl di competenza (il certificato va richiesto anche nel caso in cui il lavoratore alloggera` presso l'assistito per svolgere le mansioni di assistente alla persona).


Cosa deve fare il lavoratore

Una volta concesso il nulla osta, lo Sportello Unico per l'immigrazione lo trasmette per via telematica insieme alla proposta di contratto di soggiorno alla competente rappresentanza diplomatico-consolare italiana all'estero, che rilascera` al lavoratore il visto d'ingresso presso la rappresentanza diplomatica o consolare italiana all'estero, deve:
- recarsi entro 8 giorni dall'ingresso in Italia, presso lo Sportello Unico per firmare sia il contratto sia la richiesta di permesso di soggiorno, da spedire alla prefettura con raccomandata A/R postale.

La Questura, infine, convochera` il cittadino extracomunitario per la consegna del permesso di soggiorno.

Lo Sportello Unico consegnera` al lavoratore, oltre al contratto di soggiorno, una copia della Carta dei Valori ed una guida alle leggi sull'immigrazione predisposta dal Ministero dell'Interno ("In Italia in regola"), tradotta nella lingua meglio conosciuta dal cittadino straniero.

Per ulteriori informazioni: www.poliziadistato.it


SE IL LAVORATORE EXTRACOMUNITARIO GIA` ASSUNTO DEVE RINNOVARE IL PERMESSO DI SOGGIORNO

Il contratto di soggiorno per lavoro, stipulato con il datore di lavoro mediante il modulo Q, e` un obbligo sia per instaurare un nuovo rapporto di lavoro sia per il rinnovo del permesso di soggiorno. Pertanto, il lavoratore gia` residente in Italia, che abbia concluso un rapporto di lavoro e il cui permesso di soggiorno sia prossimo alla scadenza, accettando un'altra offerta di lavoro puo` ottenere il rinnovo del permesso presentando il contratto di soggiorno stipulato con il nuovo datore.

sabato 25 agosto 2012

Riproporzionamento dei permessi previsti dalla legge 104 del 1992 per l'assistenza di familiare disabile

Ai sensi del terzo comma dell'articolo 33 della legge n.104/1992, dopo il compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap, nonche` colui che assiste una persona disabile, parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravita` non sia ricoverata a tempo pieno.
Nell'ambito del quadro normativo appena descitto, la Federambiente ha presentato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali istanza di interpello relativa a due quesiti nel merito delle modalita` di fruizione del diritto dei suddetti tre giorni di permesso mensili.
Con il primo quesito, l'istante ha chiesto se sia legittimo un eventuale riproporzionamento sulla base della prestazione lavorativa effettivamente svolta. E` il caso di un dipendente che usufruisce dei permessi per assistere il familiare disabile ma che nello stesso mese abbia legittimamente beneficiato di altre tipologie di permessi o congedi a lui spettanti.
Si chiede in sostanza se in virtu` di assenze dal lavoro per permessi sindacali, maternita' facoltativa, maternita` obbligatoria, malattia o congedo straordinario invalidi, l'azienda possa ridurre il numero di permessi della legge 104/1992.
Attraverso interpello n.24/2012, il primo agosto 2012 la Direzione generale per l'attivita` ispettiva ha chiarito che nelle ipotesi in cui il dipendente, nel corso del mese, fruisca di altri permessi, quali ad esempio permesso sindacale, maternita`, malattia ecc., non e` possibile ritenere giustificato un riproporzionamento del diritto ai permessi ex L. n.104, in quanto trattasi comunque di assenze "giustificate", riconosciute per legge come diritti spettanti al lavoratore.
Il parere ministeriale trova la sua motivazione nelle finalita` della legge in commento. L'intento di garantire alla perona con disabilita' grave una assistenza morale e materiale adeguata, anche attraverso la fruizione degli specifici permessi mensili da parte di colui che la assiste, non puo` subire una menomazione a causa della fruizione di istituti aventi funzione, natura e caratteri del tutto diversi.
La Direzione, nell'esporre il proprio convincimento, ricorda l'interpello n.21/2011, nel quale e` stato escluso il riprorzionamento per le giornate di ferie usufruite nel medesimo mese. Cio` proprio in virtu` della diversa ratio sottesa all'istituto delle ferie rispetto a quello dei permessi finallizzati all'assistenza di persona disabile.
Il secondo quesito della Federambiente concerne l'eventuale riproporzionamento nel caso in cui il dipendente richieda la fruizione dei permessi della 104/1992 per la prima volta nel corso del mese (ad es. il giorno 19).
E` necessario ricordare che nel 2003, con la circolare numero 128, l'Inps ha chiarito i criteri di maturazione del periodo garantito per l'assistenza di familiare disabile. Ogni dieci giorni di assistenza continuativa, il lavoratore potra` contare su un giorno di permesso, mentre, per periodi inferiori a dieci giorni, non ne avra` alcun diritto.
Tenendo conto di quanto stabilito dall'Ente previdenziale, la Direzione ribadisce che nel caso indicato dall'istante, appare evidentemente possibile operare un riproporzionamento del numero dei giorni mensili di permesso spettanti in base ai suddetti criteri.

Valerio Pollastrini

mercoledì 22 agosto 2012

Aziende metalmeccaniche escluse dall'obbligo di iscrizione alla Cassa edile

L'istituto dell'interpello consente a particolari soggetti connotati da un consistente livello di rappresentatività di inoltrare alla Direzione generale per l'Attività ispettiva quesiti di ordine generale inerenti alle normative di competenza del Ministero del lavoro.
Con l'interpello n.18/2012 e' stato fornito un chiarimento in merito alla specifica richiesta presentata dall'Unione Province d'Italia.
L'oggetto dell'istanza riguardava l'obbligo di iscrizione alla Cassa edile per un'azienda rientrante nel campo di applicazione del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici.
Si ricorda che tale Cassa rappresenta un istituto di natura contrattuale verso il quale le aziende edili sono obbligate a versare contributi a vario titolo nonché ad accantonare quote dei compensi differiti dei propri lavoratori.
Nel caso specifico il quesito era finalizzato ad accertare se un'impresa che applica per i propri dipendenti il CCNL del settore metalmeccanico, in quanto corrispondente all'attività prevalentemente esercitata, sia tenuta all'iscrizione alla Cassa edile.
Si tratta di un'azienda a cui e' stata affidata la manutenzione di edifici scolastici di competenza dell'Amministrazione provinciale. Nell'ambito di questa attivita' i lavori edili, seppur rilevanti dal punto di vista quantitativo, non sono prevalenti rispetto al complesso dei lavori, consistenti nel monitoraggio e nella verifica degli edifici e nella manutenzione degli impianti.
La Direzione generale per l'Attività ispettiva, nel dirimere la questione, ha citato l'interpello n.56/2008, nel quale e' stato chiarito che l'obbligo di iscrizione alle Casse edili sussiste unicamente per "le imprese inquadrate o inquadrabili nel settore dell'edilizia, con la esclusione pertanto delle imprese rientranti nell'ambito di applicazione del CCNL metalmeccanico comunque operanti nella' realtà di cantiere".
E' stato, inoltre rammentato che tale principio non può essere esteso alle obbligazioni di natura assicurativo, in quanto per la corretta classificazione Inail, la circostanza che la ditta svolga prevalentemente attività riferita al CCNL metalmeccanico non esonera dall'obbligo di denunciare lavorazioni edili anche qualora queste siano svolte in maniera non prevalente.
La Direzione nel confermare l'esclusione dall'obbligo di iscrizione alla Cassa edile rimarca l'importanza del criterio della rilevanza dell'intera situazione aziendale che non consente di scindere all'interno della verifica contributiva le eventuali lavorazioni edili svolte.
Nel caso specifico di azienda che applica il CCNL metalmeccanico e che effettua lavorazioni tipiche di tale settore, non sussistono pertanto obblighi di versamento alla Cassa edile pur se contemporaneamente vengono svolti lavori edili che, presumibilmente, risultano connessi all'attività prevalente ma che risultano meramente accessori.

Valerio Pollastrini

martedì 21 agosto 2012

Analisi e considerazioni sui problemi del nostro sistema pensionistico

Forse non tutti sanno che il male del nostro sistema pensionistico non e' genetico. Esso ha un'origine ben precisa che risale all'immediato secondo dopoguerra.
Nel 1943, dopo lo sbarco in Sicilia delle "forze Alleate", la necessità di sostenere lo sforzo bellico nel nostro territorio indusse quest'ultime a produrre moneta in modo massiccio: le cosiddette AM lire.
Tale politica economica, esauritasi solo nel 1946, e' stata la causa di un'enorme svalutazione che ha avuto quale conseguenza l'impoverimento immediato di tutti coloro che potevano contare unicamente su un reddito fisso.
Il sistema pensionistico italiano, fino ad allora perfettamente bilanciato, di colpo si e' trovato a dover far fronte alle problematiche economiche dei pensionati.
Per garantire la sopravvivenza degli appartenenti a questa categoria si e' preso atto della necessità di adeguare le prestazioni al mutato costo della vita.
Lo strumento utilizzato e' stato quello di abbandonare la via dell'erogazione di importi commisurati alla contribuzione versata per ancorare le pensioni ai livelli retributivi della forza lavoro.
Le risorse finanziarie utilizzate, per far fronte a quella che veniva ritenuta un'emergenza temporanea, sono state quelle costituite dai contributi delle nuove generazioni di lavoratori.
Ciò che sarebbe dovuto essere provvisorio e' diventato la norma e fino agli anni '90 nulla si e' fatto per invertire il progressivo processo di indebitamento.
In questo e' chiaro che la politica ha messo del suo, aggravando la situazione con innumerevoli concessioni clientelistico-speculative. Si pensi in proposito alle varie "clausole oro", al trattamento di quiescenza nel pubblico impiego e alle più famose "pensioni baby".
Arrivati sulla soglia del baratro, dopo circa cinquant'anni si e' cercato di porre rimedio alla situazione, attraverso la pianificazione di un progressivo riallineamento delle prestazioni dal sistema retributivo a quello contributivo.
La sottovalutazione del problema, unita alla scelta di non sostenere tale processo con risorse esterne alla contribuzione dei lavoratori, ha portato negli anni a bruciare le tappe verso tale percorso. Varie riforme hanno di volta in volta aumentato con notevole anticipo l'età pensionabile e la contribuzione richiesta, fino allo scippo del trattamento di fine rapporto di buona parte dei lavoratori subordinati, i quali si sono visti costretti a rinunciare ad un considerevole emolumento, da sempre ritenuto necessario per i bisogni del periodo della terza età. Il Tfr, con un vero colpo di spugna, e' stato destinato al finanziamento di fondi pensionistici complementari che avranno il compito di adeguare parzialmente pensioni che negli anni futuri saranno sempre più' esigue.
La corsa sfrenata di questi ultimi anni verso il "virtuosismo" delle casse di previdenza non ha conosciuto ostacoli ed ha raggiunto il suo apice con la recente riforma pensionistica che, in un sol colpo, ha disilluso le legittime aspettative di quanti si trovavano in prossimità della pensione.
Problema ancora maggiore e' stato il crescente depauperamento del "valore reale" dei trattamenti, come detto, orientato al ribasso in un futuro talmente prossimo da apparire presente.
Risultato: si stanno verificando le stesse condizioni che nella seconda metà degli anni '40 hanno causato lo sfaldamento del sistema.
Sia chiaro che in dubbio non vi e' la necessità di ancorare le erogazioni degli Enti previdenziali alle loro capacità di spesa. Ciò che si vuole biasimare e' l'amoralità della soluzione scelta. Ovvero quello di gravare unicamente sulla parte più' debole della nostra società che, di contro, vede inalterati o quasi, i privilegi, anche in campo previdenziale, della classe politica.
La corretta via, ad avviso di chi scrive, sarebbe dovuta passare attraverso l'eliminazione di tali "trattamenti di favore" e per una vera razionalizzazione della spesa ma, soprattutto, per una politica del lavoro indirizzata verso la creazione di una maggiore e certo più' stabile occupazione. Sull'ultimo punto la riforma del lavoro rappresenta solo una chimera.

Valerio Pollastrini

lunedì 20 agosto 2012

Alcune considerazioni sulla riforma

Il 18 aprile 2012 e' entrata in vigore la legge 28 giugno 2012 n. 92 di riforma del mercato del lavoro.
La finalita', per espressa dizione, e' quella di realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantita' e qualita', alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione.
Per raggiungere tale obiettivo, a detta di chi scrive, sarebbe stato di primaria importanza dare un po' di certezza all'intricato groviglio normativo nel quale aziende e lavoratori sono costretti a districarsi nella gestione dei rapporti di lavoro.
La riforma, invece, complica ulteriormente le cose, dal momento che i suoi 4 articoli sono comprensivi di ben 270 commi, i quali, oltre ad introdurre diversi nuovi istituti, modificano pesantemente ben 30 disposizioni legislative, alcune delle quali in vigore da oltre cinquant'anni.
Si tratta di modifiche che, al momento, non sembrano di alcuna utilita' nel "creare occupazione".
Gli amministratori del personale sono chiamati ad un enorme sforzo interpretativo senza, tra l'altro, poter contare su un valido aiuto da parte dell'Amministrazione. Basti pensare che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha emanato una circolare esplicativa su alcune delle novita' più' importanti, tra cui quelle previste per i contratti a termine, per l'apprendistato ed i contratti a chiamata, il giorno stesso in cui la legge e' entrata in vigore. Quando cioe', le aziende avrebbero gia' dovuto conoscere al meglio come gestire tali contratti.
Proprio il lavoro a chiamata puo' essere considerato l'emblema dello stato confusionale nel quale versa il Ministero.
Nella circolare esplicativa erano state fornite le modalita' provvisorie per la nuova comunicazione preventiva. Il 9 agosto sono state rese note le modalita' definitive per il suddetto adempimento, con conseguente abrogazione delle modalita' provvisorie.
Forse qualcuno avra' fatto notare che nel mese di agosto gli studi professionali sono chiusi e che buona parte delle aziende che maggiormente utilizzano il lavoro intermittente sono alle prese con il caos della stagionalita' della loro attivita'. Fatto sta che il giorno 13 dello stesso mese una nuova nota ministeriale ha disposto, in rettifica, che le aziende potranno continuare ad usare la precedente procedura fino al 15 settembre 2012.
Una vera riforma dovrebbe considerare che la mancanza di chiarezza genera inevitabilmente un innalzamento del contenzioso e che questo rappresenta un problema principe dell'ingessamento del nostro mercato del lavoro.
I contenuti delle norme, inoltre, sono ben lontani dall incentivare nuove assunzioni. E' senz'altro corretto cercare di contrastare le zone grigie di lavoro, limitando l'utilizzo dei contratti c.d. Parasubordinati o i "simulati" contratti di lavoro autonomo, cosi' come e' eticamente necessario ridurre l'attuale abuso dei contratti a termine. A questa azione andrebbero pero' affiancate delle misure volte ad agevolare nuove assunzioni "regolari". Nella legge, purtroppo" gli unici incentivi previsti sono quelli per le nuove assunzioni di donne ed ultracinquantenni e, bene che vada, saranno operativi dal 2013.

domenica 19 agosto 2012

Il nuovo testo di legge dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori dopo le modifiche della riforma

La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ha, di fatto, riscritto l'articolo 18 della legge n.300/1970, meglio conosciuta come Statuto dei lavoratori.
Le modifiche alla norma ne hanno stravolto il contenuto. Basti pensare che il precedente titolo "reintegrazione nel posto di lavoro" e' stato sostituito da "tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo".
La nuova dizione pone immediatamente in evidenza che, quello che nella precedente formulazione normativa costituiva la regola e cioe' la reintegrazione nel posto di lavoro, riveste ora il mero ruolo di eccezione rispetto alla sanzione base del risarcimento del danno.
La riforma ha introdotto 10 nuovi commi con i quali ha sostituito i primi 6 dell'articolo 18.
I commi residuali, che nella precedente formulazione della norma erano rubricati dal numero 7 al numero 10, verranno ora indicati con la numerazione 11, 12, 13 e 14.
Si ricorda, inoltre, che quanto disposto dal quarto al settimo comma e' applicabile esclusivamente ai lavoratori occupati presso datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze più' di 15 lavoratori in uno stesso Comune o più' di 60 in tutto il territorio nazionale. Per le aziende agricole il limite e' ridotto a più' di 5 unita'.


Legge 20 maggio 1970, n.300

Articolo 18
Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo

1. Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullita' del licenziamento perche' discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perche' riconducibile ad altri casi di nullita' previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perche' intimato in forma orale.

2. Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresi' il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullita', stabilendo a tal fine un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potra' essere inferiore a cinque mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

3. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non e' assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennita' deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

4. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria non puo' essere superiore a dodici mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita' lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attivita' lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.

5. Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

6. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo
7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravita' della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi e' anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

7. Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneita' fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e' stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Puo' altresi' applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennita' tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.

8. Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di imprenditore
agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito
territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali
limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti.

9. Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unita' lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

10. Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purche' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita', con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo;

11. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, puo' disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

12. L'ordinanza di cui al coma precedente puo' essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del Codice di procedura civile.

13. L'ordinanza puo' essere revocata con la sentenza che decide la causa.

14. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, e' tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

Valerio Pollastrini

sabato 18 agosto 2012

Procedure e recapiti per le comunicazioni preventive di utilizzo dei lavoratori a chiamata

Con la circolare n.18 del 18 luglio 2012 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva fornito le prime istruzioni operative per le comunicazioni preventive, introdotte dalla legge n.92/2012, per l’utilizzo dei lavoratori a chiamata. In quella occasione il Ministero aveva specificato che, in assenza della individuazione delle modalità semplificate di comunicazione, l’adempimento poteva essere effettuato con gli strumenti già operativi (posta elettronica e fax) ai recapiti delle Direzioni territoriali del lavoro.
Il 9 agosto 2012 sono state fornite ulteriori istruzioni che definiscono tutte le modalità di comunicazione e, di fatto, eliminano quelle utilizzate fino ad ora in via provvisoria.
La nota informa che sono state messe a punto una serie di modalità che hanno il pregio di semplificare l'attività dei datori di lavoro e che consentono una più agevole verifica delle direzioni territoriali del lavoro sulla correttezza degli adempimenti.
Le varie modalità tecniche verranno messe a disposizione secondo la seguente progressione temporale:
1. Fax - a partire dal 13 agosto 2012;
2. Sms - a partire dal 17 agosto 2012;
3. e-mail - a partire dal 17 agosto 2012;
4. On-line - a partire dal 1 ottobre 2012;

Fax
Per utilizzare questa modalità, il datore di lavoro dovrà scaricare l'apposito modello disponibile agli indirizzi www.lavoro.gov.it e www.ciclilavoro.gov.it; il modulo opportunamente compilato dovrà essere inviato al numero 848800131.
Questa modalità potrà essere utilizzata unicamente per comunicare la chiamata di un singolo lavoratore.
Al datore di lavoro viene richiesto di conservare il rapporto di consegna del proprio fax, ai fini della ricevuta dell'avvenuta comunicazione.

Sms
La comunicazione preventiva potrà essere effettuata via sms al numero seguente: 339-9942256.
Nel messaggio dovranno essere riportati i seguenti dati:

- indirizzo e-mail del datore di lavoro;

- codice della comunicazione obbligatoria corrispondente al lavoratore per il quale viene effettuata la chiamata. E' possibile reperire il suddetto codice nella ricevuta rilasciata al termine dell'invio del modello UniLav.
Tale informazione non dovrà essere fornita nel caso in cui il rapporto di lavoro tra l'azienda e il lavoratore a chiamata fosse stato instaurato prima del 1 marzo 2008;

- codice fiscale del datore di lavoro (solo nel caso in cui il rapporto di lavoro sia stato attivato prima del 1 marzo 2008);

- codice fiscale del lavoratore (solo nel caso in cui il rapporto di lavoro sia stato attivato prima del 1 marzo 2008). Con un singolo sms potranno essere comunicati fino ad un massimo di 3 lavoratori per il medesimo periodo di chiamata;

- data inizio e data fine della prestazione: queste informazioni possono essere fornite in modalità multipla, ovvero possono essere comunicati più periodi di lavoro. Nel caso in cui il lavoratore sia chiamato a rendere la prestazione per un singolo giorno e' sufficiente inserire la data inizio della prestazione. Nel caso in cui si intenda comunicare, per il medesimo lavoratore, diverse singole giornate le date della prestazione dovranno essere separate da un asterisco.

I dati della comunicazione dovranno essere digitati senza spazi e senza ulteriori caratteri; i campi dovranno essere separati sempre da una virgola ad eccezione del campo CF datore di lavoro o Codice comunicazione, che va separato da un punto; il formato della data e' gg-mm-aaaa; le date "singole" durante la quale si effettua la chiamata periodicamente (ad esempio tutti i sabati del mese) dovranno essere separati da un asterisco.

Mail
Per utilizzare questa modalità, il datore di lavoro dovrà scaricare il modello sul sito www.lavoro.gov.it o www.ciclilavoro.gov.it, compilarlo in ogni sua parte ed inviarlo all'indirizzo intermittenti@lavoro.gov.it.
Tale modello dovrà essere:
- allegato ad una mail che avrà come oggetto “Comunicazione chiamata lavoro intermittente”;
- non appena ricevuta la mail, il sistema invierà un messaggio di conferma di avvenuta ricezione.

Con un singolo modello potranno essere comunicate le chiamate fino ad un massimo di sei lavoratori per il medesimo periodo di chiamata ovvero, per un solo lavoratore, fino ad un massimo di 10 periodi.

Modulo on-line
Per le comunicazioni a partire dal primo ottobre 2012 verrà messa a disposizione un’ulteriore modalità di comunicazione che prevede la compilazione di un modulo on-line. Il modello sarà disponibile sul portale www.ciclilavoro.gov.it e sarà accessibile solamente agli utenti registrati.
Si prevede che in una successiva evoluzione tecnologica l’applicazione potrà essere disponibile anche attraverso gli strumenti mobile (Iphone, Ipad, Android)

Sulla nota del 9 agosto il Ministero aveva stabilito che a far data dal 13 agosto 2012, ai fini dell’adempimento in questione, i datori di lavoro avrebbero dovuto utilizzare esclusivamente le modalità ed i recapiti ora indicati e non inviare più alcuna mail agli indirizzi di posta certificata delle Direzioni territoriali del lavoro, come richiesto dalla circolare n.18 del 18 luglio 2012. Lo stesso giorno in cui tale disposizione entrava a regime il ministero ha però diramato un avviso di rettifica con il quale è stato concesso fino al 15 settembre 2012 di inoltrare le comunicazioni agli indirizzi di posta elettronica e fax delle Direzioni territoriali del lavoro.

Valerio Pollastrini


Schema riepilogativo delle tutele contro i licenziamenti

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LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO

Campo di applicazione
La tutela si applica a tutti i datori di lavoro, a prescindere da qualunque limite dimensionale;

Ipotesi contrastate
A) Licenziamento per motivi di credo politico, fede religiosa, appartenenza sindacale, razza, lingua, sesso, handicap, età, orientamento sessuale, convinzioni personali;
B) Licenziamento in concomitanza con il matrimonio;
C) Licenziamento in violazione delle tutele previste per il sostegno della maternità e paternità;
D) Licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante, come ad esempio il licenziamento per ritorsione;
E) Licenziamento orale;
Sanzione - reintegrazione nel posto di lavoro e restituzione di tutte le retribuzioni maturate tra il recesso e la reintegra. Da esse dovranno essere detratti gli emolumenti percepiti per altra attività in attesa della reintegrazione, nonché quanto, nello stesso periodo, il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione;

N.B. al lavoratore non e' più' richiesta la messa a disposizione delle energie lavorative.
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LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI

Campo di applicazione - I
Aziende rientranti nel campo di applicazione dell'articolo 18 della legge n.300/1970 (datori di lavoro con più' di 15 dipendenti in un Comune, più' di 60 in tutto il territorio nazionale, più' di 5 nel settore agricolo);

Ipotesi contrastate
A) licenziamento privo degli estremi del giustificato motivo oggettivo;
Sanzione - indennità risarcitoria determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti;

B) mancata indicazione dei motivi nella lettera di recesso o violazione della procedura di conciliazione preventiva;
Sanzione - indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità;

C) manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
Sanzione - reintegrazione nel posto di lavoro e indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito dal lavoratore in altra attività lavorativa svolta tra il licenziamento e la reintegra ovvero quanto lo stesso avrebbe potuto percepire se si fosse impegnato diligentemente nella ricerca di un altro lavoro;

Campo di applicazione II
Aziende escluse dal campo di applicazione dell'articolo 18 della legge n.300/1970 (datori di lavoro con meno di 16 dipendenti in un Comune, meno di 61 in tutto il territorio nazionale, meno di 6 nel settore agricolo);

Ipotesi contrastate
A) ogni caso di licenziamento economico illegittimo;
Sanzione - il datore di lavoro può scegliere tra reintegrazione e risarcimento del danno valutato dal giudice tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione globale di fatto.
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LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Campo di applicazione - I
Aziende rientranti nel campo di applicazione dell'articolo 18 della legge n.300/1970 (datori di lavoro con più' di 15 dipendenti in un Comune, più' di 60 in tutto il territorio nazionale, più' di 5 nel settore agricolo);

Ipotesi contrastate
A) insussistenza del fatto contestato o tale fatto rientra tra le condotte punibili dai contratti collettivi o dai codici disciplinari applicabili con una sanzione più lieve del licenziamento;
Sanzione - reintegrazione nel posto del lavoro e risarcimento del danno fino a 12 mensilità. Entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, il dipendente può scegliere, in luogo della reintegrazione, la corresponsione di un importo pari a 15 mensilità;

B) altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo;
Sanzione - indennità compresa fra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità di retribuzione;

C) il licenziamento adottato in violazione delle regole procedurali (mancato rispetto dei termini e altre violazioni formali);
Sanzione - indennità variabile fra sei e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto;

N.B. Se oltre al vizio di forma, il licenziamento fosse privo di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento troveranno applicazione le specifiche tutele dei punti A) e B);

Campo di applicazione II
Aziende escluse dal campo di applicazione dell'articolo 18 della legge n.300/1970 (datori di lavoro con meno di 16 dipendenti in un Comune, meno di 61 in tutto il territorio nazionale, meno di 6 nel settore agricolo);

Ipotesi contrastate
A) ogni caso di licenziamento disciplinare illegittimo;
Sanzione - il datore di lavoro può scegliere tra reintegrazione e risarcimento del danno valutato dal giudice tra 2,5 e 6 mensilita' di retribuzione globale di fatto.
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venerdì 17 agosto 2012

Licenziamento disciplinare

La recente riforma del lavoro ha provveduto a riscrivere la normativa relativa alla tutela dei lavoratori contro i licenziamenti.
Per cio` che riguarda il recesso dovuto alla condotta colposa del lavoratore, i maggiori destinatari delle modifiche sono coloro che rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 18 della legge n.300/1970.
Tale norma e` da sempre rivolta ai lavoratori occupati presso datori di lavoro con un organico superiore a 15 dipendenti in un Comune, più di 60 in tutto il territorio nazionale o più di 5 nel settore agricolo.
Il licenziamento disciplinare nel nostro ordinamento e` storicamente orientato verso un duplice percorso: quello della "giusta causa" e quello del "giustificato motivo soggettivo".
Per giusta causa si intende quella colpa imputata al lavoratore la cui gravita` sia tale da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario posto alla base di ogni rapporto di lavoro. Tale condotta non consente neanche la prosecuzione temporanea del rapporto, al punto che la specifica sanzione e` quella del recesso senza preavviso.
Il giustificato motivo soggettivo di licenziamento e` costituito invece da una colpa del lavoratore più lieve di quella necessaria per la giusta causa, punita per tale motivo con il recesso con preavviso.
Per poter dare luogo ad entrambe le fattispecie di risoluzione il datore di lavoro e` obbligato a seguire la specifica procedura predisposta dall'articolo 7 dello Statuto del lavoratori.
Il licenziamento dovra`, pertanto, essere preceduto da una contestazione di addebito al lavoratore, il quale potra` usufruire di un termine di 5 giorni per presentare eventuali giustificazioni. Una volta esaurita la fase di "contestazione", nel caso in cui il tentativo di discolpa del dipendente non abbia sortito effetti, il datore di lavoro potra` irrogare il recesso.
In caso di impugnazione dell'atto, la legittimita` del licenziamento disciplinare sara' condizionata alla valutazione del giudice in merito alla congruita` del recesso rispetto alla gravita` dell'infrazione commessa.
Le modifiche della riforma intervengono sulle conseguenze relative all'illegittimita` della condotta datoriale.
In caso di licenziamento disciplinare, il nuovo articolo 18 prevede tre diverse forme di tutela.

1: nei casi in cui il giudice ritenesse insussistente il fatto contestato o tale fatto rientrasse tra le condotte punibili dai contratti collettivi o dai codici disciplinari applicabili con una sanzione più lieve del licenziamento, il lavoratore avra` diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
Rispetto al passato non e' prevista una misura minima del risarcimento, mentre e' stata introdotta la misura massima di 12 mensilita`.
E' facile ritenere che questa disposizione causera` seri problemi applicativi. Vi sono, infatti, contratti collettivi che non hanno predisposto finora alcuna elencazione delle fattispecie punibili con la giusta causa ovvero con il giustificato motivo soggettivo. Anche per quei contratti che hanno previsto una dettagliata tipizzazione delle condotte colpose non possono certo averne ricompreso nell'elenco ogni genere potenzialmente verificabile.
E' necessario aggiungere che, in ogni caso, resta fermo l'obbligo del versamento dei contributi per l'intero periodo non lavorato in misura pari al differenziale tra la contribuzione che sarebbe spettata in caso di prosecuzione del rapporto e quella eventualmente accreditata da altro datore di lavoro in conseguenza di svolgimento medio tempore di altra attivita`.
Al lavoratore e`, inoltre, concessa la possibilita` di esercitare il c.d. diritto di opzione. Entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, il dipendente puo` scegliere, in luogo della reintegrazione, la corresponsione di un importo pari a 15 mensilita`.

2: "nelle altre ipotesi" in cui il giudice accertasse che non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, il licenziamento sara` comunque idoneo ad interrompere il rapporto definitivamente, senza che vi sia alcuna possibilita` di reintegra. Al lavoratore spettera` unicamente un'indennita` compresa fra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilita` di retribuzione.
Tale indennita` e` definita espressamente dalla legge come omnicomprensiva. Essa, pertanto, escludera` ulteriori pretese risarcitorie in merito al licenziamento illegittimo.

3: nel caso in cui il licenziamento fosse stato adottato in violazione delle regole procedurali (mancato rispetto dei termini e altre violazioni formali), il rapporto sara` comunque dichiarato risolto e al lavoratore spettera` unicamente un'indennita` variabile fra sei e 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Qualora pero`, oltre al vizio di forma, il giudice accertasse l'assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento troveranno applicazione le specifiche tutele dei punti 1 e 2.

Aziende minori
Nulla e` cambiato invece per i licenziamenti disciplinari illegittimi posti in essere dai soggetti esclusi dall'ambito di applicazione dell'articolo 18. Per essi permane la scelta del datore, in luogo della reintegrazione, del pagamento di un'indennita` risarcitoria compresa tra 2,5 e 6 mensilita`, la cui entita` sara` stabilita dal giudice.

Altre novita'
Il legislatore della riforma ha inoltre disposto che i licenziamenti disciplinari maturano la loro efficacia dal giorno di avvio del procedimento di cui all'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.
La data di licenziamento sara` pertanto coincidente con quella nella quale il lavoratore ha ricevuto la comunicazione della contestazione disciplinare.
I periodi di lavoro successivi all'avvio del procedimento verranno considerati come preavviso lavorato.
E' necessario sottolineare che questa disposizione e` applicabile a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal requisito dimensionale.

Valerio Pollastrini

mercoledì 15 agosto 2012

Licenziamento discriminatorio

La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ha introdotto alcune modifiche all'istituto del licenziamento. Tra esse, le più eclatanti risultano senza dubbio quelle apportate all'articolo 18 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori).
La norma risulta totalmente stravolta rispetto al passato, al punto che, per quanto riguarda le tutele dei lavoratori in caso di illegittimita` del recesso, il risarcimento del danno risulta ora la regola di base, mentre la reintegrazione nel posto di lavoro ne costituisce l'eccezione.
Tra le varie fattispecie di licenziamento, l'unica a non aver subito sostanziali modifiche rispetto al passato e` quella del licenziamento nullo, per il quale l'unica sanzione rimane quella della reintegra.
Si tratta delle seguenti tipologie di recesso:
1) Licenziamento discriminatorio. Fondato da motivazioni legate a credo politico, fede religiosa, appartenenza sindacale, razza, lingua, sesso, handicap, eta`, orientamento sessuale, convinzioni personali;
2) Licenziamento in concomitanza con il matrimonio;
3) Licenziamento in violazione delle tutele previste per il sostegno della maternita` e paternita`;
4) Licenziamento riconducibile ad altri casi di nullita` previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante, come ad esempio il licenziamento per ritorsione;
5) Licenziamento orale.
La tutela contro queste particolari fattispecie di licenziamento e` rivolta a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal numero di lavoratori occupati in azienda.
Essa inoltre risulta applicabile anche ai dirigenti.
Al verificarsi di una delle ipotesi poc'anzi elencate, la reintegrazione comportera` per il datore di lavoro l'ulteriore obbligo di versare al lavoratore tutte le retribuzioni maturate tra il recesso e la reintegra. Da esse dovranno essere detratti gli emolumenti percepiti per altra attivita` in attesa della reintegrazione, nonche' quanto, nello stesso periodo, il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
Ovviamente sulle retribuzioni "restituite" al lavoratore riammesso in azienda, graveranno le ordinarie obbligazioni di carattere contributivo, assistenziale e fiscale. Il legislatore della riforma ha pero` specificato che tali importi non dovranno essere maggiorati delle sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.
Per cio` che riguarda in particolare la fattispecie del licenziamento verbale, risulta accentuato, rispetto alla precedente normativa, il livello di protezione dei lavoratori occupati presso i datori di lavoro esclusi dall'ambito di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Si tratta delle aziende con meno di 16 dipendenti in un singolo Comune, meno di 61 in tutto il territorio nazionale e meno di 6 nel settore agricolo.
I suddetti datori di lavoro potevano contare su un meccanismo di favore che, in caso di licenziamento orale, li obbligava a corrispondere al lavoratore solamente le retribuzioni maturate successivamente alla formale messa a disposizione da parte di quest'ultimo delle proprie energie lavorative.
Ora, anche in tale orbita dimensionale, la restituzione delle retribuzioni perdute a causa del recesso non sara` più condizionata ad alcun obbligo di "messa in mora" a carico del lavoratore.

Valerio Pollastrini

martedì 14 agosto 2012

Licenziamento per motivi economici

La riforma del lavoro, tra le altre cose, ha ribattezzato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con la nuova dizione "per motivi economici".
Si tratta di quei recessi che esulano da eventuali "colpe" dei prestatori di lavoro e che fanno ricondurre la loro ragione nelle esigenze organizzative aziendali.
A titolo esemplificativo, si citano, tra i recessi rientranti in questa fattispecie, le riduzioni del personale in seguito alla riorganizzazione aziendale, alle contrazioni dell'attività lavorativa o alla soppressione di un reparto aziendale.
Il licenziamento, in questi casi, deve essere giustificato da ragioni, per l'appunto, di natura "economica" e l'individuazione del lavoratore interessato dal provvedimento deve garantire la massima "oggettività" dei criteri di scelta.
Il nostro ordinamento fin dagli anni '60 ha previsto un duplice regime di tutela, fondato esclusivamente sui requisiti dimensionali dell'azienda.
Secondo la vecchia formulazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il licenziamento illegittimo comportava a carico del datore di lavoro l'obbligo di reintegrare il lavoratore nonché quello di corrispondere a quest'ultimo un risarcimento del danno.
Tale disposizione, allora come oggi, risultava applicabile ai datori di lavoro con più' di 15 lavoratori nello stesso Comune o più' di 60 in tutto il territorio nazionale. Per le aziende agricole tale limite era ridotto fino all'importo complessivo di 5 unità lavorative.
Per le aziende con personale inferiore ai suddetti parametri, o per le c.d. "Organizzazioni di tendenza" (partiti politici, associazioni sindacali...) la protezione dei lavoratori dall'illegittimità del licenziamento era affidata ad una "tutela minore", stante l'inapplicabilità nei confronti di quest'ultime del predetto articolo 18.
In questo caso, il licenziamento operato nel rispetto delle procedure formali (per iscritto), quand'anche dichiarato illegittimo, era, di per se, idoneo a concludere definitivamente il rapporto di lavoro. Al lavoratore licenziato era preclusa ogni possibilità di pretendere la reintegra. Tale opzione, semmai, poteva essere offerta dal datore di lavoro in luogo di un risarcimento del danno quantificato dal giudice in una misura compresa tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione globale di fatto.
La "tutela minore" di cui si e' detto, ha contribuito negli anni a definire le aziende escluse dall'ambito di applicazione dell'articolo 18 come operanti in un'area di "libera recedibilità".
La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ha introdotto diverse novità all'istituto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per quanto riguarda le conseguenze dovute ad un licenziamento illegittimo, il nuovo impianto normativo conferma un doppio regime di tutela fondato esclusivamente sul requisito dimensionale aziendale e lascia invariata la misura del risarcimento economico dovuto dalle "aziende minori": tra 2,5 e 6 mensilità.
Del tutto stravolto invece il contenuto dell'articolo 18, nel quale la reintegrazione sul posto di lavoro e' ora diventata una mera "eccezione".

Conseguenze di un licenziamento "economico" nelle aziende con più' di 15 dipendenti in un Comune, più' di 60 dipendenti in tutto il territorio nazionale e più' di 5 dipendenti per i datori di lavoro agricolo
La nuova formulazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori dispone, nei in cui il licenziamento sia dichiarato illegittimo perché privo degli estremi del giustificato motivo oggettivo, la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Il legislatore ha previsto, inoltre, una sanzione più' mite quando l'illegittimità sia dovuta a vizi procedurali e formali nell'irrogazione del licenziamento.
Per la mancata indicazione dei motivi nella lettera di recesso ovvero per la violazione della procedura di conciliazione preventiva, di cui si dirà in seguito, al lavoratore dovrà essere erogata  un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità.
L'unico caso in cui viene 'salvato' il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro attiene all'accertata manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Al verificarsi di tale ipotesi, il giudice dovrà inoltre condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito dal lavoratore in altra attività lavorativa svolta tra il licenziamento e la reintegra, ovvero quanto lo stesso avrebbe potuto percepire se si fosse impegnato diligentemente nella ricerca di un altro lavoro.

Novità procedurali introdotte dalla riforma

Necessaria indicazione dei motivi: in passato, i datori di lavoro, nell'operare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, avevano il solo obbligo di comunicare il recesso al lavoratore per iscritto. La compiuta indicazione dei motivi determinanti il licenziamento doveva essere fornita solamente in seguito ad una espressa richiesta del lavoratore.
La novità consiste ora nella necessità di indicare - a pena di inefficacia - i suddetti motivi nella lettera di licenziamento.
E' necessario sottolineare che il presente obbligo e' rivolto a tutti i datori di lavoro, a prescindere da quale sia il numero dei lavoratori occupati in azienda.

Preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione
Esclusivamente per le aziende rientranti, per requisito dimensionale, nell'ambito di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e' stato introdotto, nel caso di un licenziamento "economico", l'obbligo di esperire un preventivo tentativo di conciliazione.
Il datore di lavoro dovrà inoltrare una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro  (e, per conoscenza, al lavoratore interessato) attestando la volontà di irrogare un licenziamento per ragioni oggettive, elencandone i motivi e le eventuali misure di outplacement prospettate al lavoratore.
Entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta, la Dtl dovrà convocare le parti per esperire un tentativo di conciliazione che  dovrà concludersi entro i successivi 20 giorni.
Decorsi inutilmente i predetti termini,  il datore di lavoro potrà effettuare il licenziamento.
Da notare che la procedura in commento consente di favorire la conciliazione
concedendo al lavoratore, disposto a non impugnare il recesso, la nuova indennità di sostegno al reddito introdotta dalla riforma. Ciò in deroga alla disciplina ordinaria in materia di Aspi.
Per evitare il rischio di un dilatamento dei tempi a causa di un'eventuale malattia del lavoratore, il legislatore ha previsto che il licenziamento, intimato all'esito della procedura di conciliazione,  acquisti efficacia dal giorno della comunicazione alla Dtl con la quale la procedura e' stata avviata.

Operatività
Tutte le disposizioni oggetto del presente articolo si applicano ai licenziamenti irrogati successivamente al 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della riforma.

Valerio Pollastrini

domenica 12 agosto 2012

Le nuove tutele in materia di licenziamenti

Nell'ambito della riforma del lavoro, la tematica che ha suscitato maggiori interessi e' stata senza dubbio quella legata alle modifiche alla disciplina dei licenziamenti.
Tra le polemiche emerse fin dalla redazione del disegno di legge, il maggiore risalto e' stato attribuito alla "rivisitazione" dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ciò e' naturalmente comprensibile, vista anche l'importanza sociale che la norma ha rivestito in oltre 40 anni di operatività, al punto da essere eretta, a giusto titolo, a vero e proprio baluardo delle garanzie di tutela dei lavoratori subordinati. Il sua impianto normativo e' stato completamente stravolto e non vi e' dubbio che le modifiche risultano penalizzanti per la stabilità dei rapporti di lavoro.
La riforma però non si e' limitata alla modifica dell'articolo 18,  rivolto, ora come nel passato, ai datori di lavoro che occupano più' di 15 dipendenti nello stesso Comune, 60 nel territorio nazionale o 5 per le aziende agricole.
Le novità hanno investito l'istituto del licenziamento nel suo complesso ed hanno riguardato disposizioni normative, come la legge 604/1966, destinate alla totalità dei lavoratori, anche quelli occupati nelle piccole aziende.
Nel presente articolo sono state riportate in via generale le novità. Nei prossimi giorni verranno analizzate compiutamente le singole fattispecie di licenziamento e, soprattutto, verranno riepilogate le diverse discipline in funzione dell'applicabilità o meno dell'articolo 18.

Modifiche generali
La riforma e' intervenuta sulla legge 604/1966 concernente le regole generali in materia di licenziamenti. Tale disposizione ne stabilisce i requisiti di forma, i tempi e le modalità di comunicazione, come anche i termini per l'impugnazione e altro ancora.

Motivi del licenziamento
La riforma ha introdotto l'obbligo di indicare, a pena di inefficacia, i motivi del licenziamento contestualmente alla sua comunicazione al lavoratore.
In passato i motivi potevano essere comunicati successivamente al recesso e dopo esplicita richiesta del lavoratore entro determinati limiti temporali.

Azione giudiziaria
Il licenziamento, come e' noto, deve essere impugnato dal lavoratore entro 60 giorni dalla sua irrogazione.
Nel 2010 il c.d. "Collegato lavoro" aveva introdotto un termine di 270 giorni per la
proposizione dell'azione giudiziaria, decorrente dalla data di impugnazione.
Tale termine e' stato ora ridotta a 180 giorni.

Tentativo obbligatorio di conciliazione
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le aziende con più' di 15 dipendenti a tempo pieno nel comune o più' di 60 sul territorio nazionale sono ora costrette a promuovere, prima dell'irrogazione del recesso, un tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla Direzione territoriale del lavoro.

Data del recesso
I licenziamenti disciplinari, vale a dire i recessi  intimati alla fine di un procedimento disciplinare, maturano ora la loro efficacia dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento.
La data di licenziamento sarà pertanto coincidente con quella nella quale il lavoratore ha ricevuto la comunicazione della  contestazione disciplinare.
I periodi di lavoro successivi all'avvio del procedimento verranno considerati come preavviso lavorato.
E' necessario sottolineare che questa disposizione si applica a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal requisito dimensionale.

Le modifiche all'articolo 18 della legge 300/1970
L'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e' stato completamente stravolto dalla riforma.
Come specificato in precedenza si tratta del regime di tutela contro i licenziamenti illegittimi nell'ambito dei datori di lavoro che occupino più' di 15 dipendenti nel Comune o più' di 60 sul territorio nazionale o più di 5 nel settore agricolo.

Revoca del licenziamento
Ad ogni datore di lavoro viene ora concessa la possibilità di revocare il licenziamento entro 15 giorni dall'eventuale impugnazione del lavoratore. In tal caso il rapporto di lavoro risulterà come se non fosse mai stato interrotto. Ciò significa che al lavoratore dovranno essere erogate le retribuzioni non percepite dal licenziamento alla ripresa del servizio.
In caso di revoca del recesso, il lavoratore dovrà rientrare in servizio. Un eventuale rifiuto verrà considerato come assenza ingiustificata e sarà passibile di licenziamento all'esito di un conseguente procedimento disciplinare.

Reintegrazione e indennità
Nei casi in cui, dinnanzi all'accertato diritto alla reintegrazione, il  lavoratore opti per l'indennità economica sostitutiva, il rapporto si considererà estinto non più' con il pagamento dell'indennità, ma con la comunicazione dell'esercizio dell'opzione.
Per quanto riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo, la vecchia disciplina imponeva al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore  con pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso alla reintegra. Tale somma non poteva, in ogni caso essere inferiore all'equivalente di cinque mensilità.
Il lavoratore, in questa circostanza, poteva optare, in luogo della reintegrazione,  per un'indennità economica sostitutiva pari a 15 mensilità.
La disciplina ora elencata rimane in vigore unicamente per le seguenti ipotesi:
1) Licenziamento discriminatorio. Si tratta di quei licenziamenti la cui reale motivazione sia dettata da  ragioni inerenti al credo politico, alla fede religiosa, all’appartenenza sindacale o di razza, di lingua, di sesso, di handicap, di età, di orientamento sessuale o di convinzioni personali;
2) Licenziamento nullo perché in concomitanza con il matrimonio;
3) Licenziamento nullo perché in violazione dei divieti a sostegno della maternità e paternità;
4) Licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante, come ad esempio il licenziamento per ritorsione;
5) Licenziamento orale.
La particolare tutela contro queste particolari fattispecie di licenziamento non e' soggetta ad alcun limite dimensionale dell'azienda. Essa si applica, pertanto, a tutti i datori di lavoro.
Dal confronto con il passato, ne risulta accentuata la tutela dei lavoratori contro il licenziamento verbale. I datori di lavoro esclusi dall'ambito di applicazione dell'articolo 18 (quelli, per intenderci, con meno di 16 o 60 dipendenti) potevano contare su un meccanismo di favore che, in caso di licenziamento orale, li obbligava a pagare al lavoratore solamente le retribuzioni maturate successivamente alla formale messa a disposizione delle energie lavorative di quest’iltimo.

Retribuzioni maturate fra recesso e reintegra
In caso di licenziamento nullo o illegittimo, il legislatore ha precisato che dalle retribuzioni maturate dal lavoratore tra il recesso e la reintegra dovranno essere detratti gli eventuali compensi percepiti per altra attività lavorativa nonché quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
E' stato inoltre specificato che i contributi relativi alle retribuzioni maturate nelle more della reintegra non saranno aggravati dalle sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.

Licenziamento disciplinare
In caso di licenziamento disciplinare, il nuovo articolo 18 prevede tre diverse forme di tutela.
1: nei casi in cui il giudice ritenesse insussistente il fatto contestato o tale fatto rientrasse tra le condotte punibili dai contratti collettivi o dai codici disciplinari applicabili con una sanzione più' lieve del licenziamento, il lavoratore avrà diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
Rispetto al passato non e' prevista una misura minima del risarcimento, mentre
e' stata introdotta la misura massima di 12 mensilità. Resta fermo il diritto al versamento dei contributi per l'intero periodo non lavorato.
2: "nelle altre ipotesi" in cui il giudice accertasse che non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, il licenziamento avrà comunque prodotto la sua efficacia interruttiva. Il rapporto di lavoro sarà dichiarato risolto senza alcuna possibilità di reintegra. Al lavoratore spetterà unicamente un'indennità fra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità di retribuzione.
3: nel caso in cui il licenziamento sia stato adottato in violazione delle regole procedurali (mancato rispetto dei termini e altre violazioni formali), il rapporto sarà comunque dichiarato risolto e al lavoratore spetterà unicamente un'indennità variabile fra sei e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Licenziamento per motivi economici

Si tratta del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Con la riforma, anche per tale fattispecie la reintegrazione diviene un’ipotesi residuale. La regola generale prevede, nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Meno pesante il rischio per quei licenziamenti economici che presentino semplici vizi procedurali e formali. La mancata indicazione dei motivi nella lettera di recesso ovvero la violazione della procedura di conciliazione preventiva, comporterà in favore del lavoratore   un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità.
La reintegrazione spetta soltanto nei casi in cui venga accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In tale caso il giudice dovrà annullare il licenziamento e condannare il datore alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.


Decorrenza della prescrizione
Tra le conseguenze delle modifiche  all'articolo 18 della legge 300/1970, dovranno essere chiarite quelle relative al regime della decorrenza della prescrizione.
Finora e' stato pacifico  che la prescrizione inizi a decorrere in costanza di rapporto solo per i lavoratori che godano di un regime di stabilità reale. Mentre resti sospesa fino alla fine del rapporto per i dipendenti delle piccole imprese.
Il discrimine era pertanto costituito dall'applicabilità o meno al datore di lavoro dell'articolo 18.
Venuta meno la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, sembra logico che la decorrenza della prescrizione debba ora ritenersi sospesa in costanza di rapporto anche per le grandi imprese.

Risarcimento del danno
Per il calcolo del risarcimento del danno si dovrà ora fare riferimento all'"ultima" retribuzione globale di fatto. Restano pertanto esclusi gli aumenti contrattuali eventualmente intercorsi successivamente al licenziamento.

Il rito speciale per le controversie di lavoro
Il legislatore ha introdotto uno specifico procedimento in materia di licenziamenti. L'intento e' quello di velocizzare i tempi  circoscrivendo l'oggetto della discussione.

Valerio Pollastrini